Simbologia della Morte
In massoneria, al termine delle riunioni rituali, vengono letti dei lavori su argomenti indicati di volta in volta. I lavori che vengono chiamati col termine tecnico ” Tavole di Loggia” sono realizzati da fratelli esperti e sono rivolti a tutti i gradi presenti. Essi sono un approfondimento del lavoro del tempio ma sono comunque collocati a margine della pratica cerimoniale.
Ingresso al Tempio
L’ingresso al Tempio come idea ha sempre coinciso con le particolari cerimonie di ammissione che introduceva un profano fra le mura, dove la presenza della Divinità si manifestava attraverso i simboli viventi della Scienza Sacra. Il Tempio del quale intendiamo parlare si trova ovunque, ma gli esseri umani non sanno neppure che esiste, per cui non sono in grado di penetrarvi. Da un punto di vista strettamente geografico ed astronomico, possiamo dire che tutti noi indistintamente veniamo al Mondo all’interno del Tempio, anche se pochi nel corso dell’esistenza sono destinati a rendersene conto. Il Tempio è l’Universo, ovvero tutto ciò che i nostri organi sensoriali riescono a percepire e la nostra mente riesce a pensare, a concepire e ad immaginare. Il passo che consente all’uomo di varcare una tale soglia è costituito dalla consapevolezza di una Legge Unica, dalla quale discende ogni altra Legge che regola i vari aspetti della manifestazione divina attraverso la Natura. A prima vista, tutto ciò può apparire piuttosto semplice. La consacrazione della coscienza al Tempio dell’Universo corrisponde ad un profondo risveglio dell’essere umano che, giunto ad un certo stadio di evoluzione, comincia effettivamente a rendersi conto che ogni più piccola trasformazione dell’ambiente circostante, del suo corpo o del suo medesimo stato d’animo obbedisce ad una evidente concatenazione di Leggi sottili.
L’ingresso al Tempio può essere compiuto in qualsiasi circostanza, nell’intimità della casa oppure nel luogo di lavoro, d’estate sulla spiaggia in compagnia degli amici,o magari nel pieno dell’inverno guidando in autostrada. L’essenziale sta nel cominciare a rendersi conto che il Mondo non è uno scenario virtuale o un fondale di teatro. Il Tempio, inteso come struttura vivente composta da un preciso sviluppo di sale e corridoi che introducono ad una visione più diretta ed immediata del Divino, è intorno a noi, ovunque ci troviamo, ma è anche dentro di noi, ia partire dallo stato mentale che sperimentiamo in questo preciso momento. Tutto sta nel fermare per un istante il vertiginoso roteare della mente, che solitamente ci stordisce e ci ipnotizza, per volgere invece l’attenzione all’estrema semplicità nella quale si susseguono le cause e gli effetti di ciò che abbiamo dentro ed intorno. In altre parole, per varcare la soglia delle sacre mura dobbiamo accettare di vedere che nascendo siamo entrati a far parte di qualcosa di grande, anzi di immenso. Qualcosa che vive, respira e si esprime in milioni di modi diversi, fuori e dentro di noi, per quanto ci viene dato di sapere, fin dove la mente è in grado di spingersi con il pensiero.
L’unica Entità che si possa considerare come davvero esistente fra tutte le apparenze illusorie che abbiamo intorno, con la quale dobbiamo imparare a dialogare ed a prendere confidenza. à In tal senso, l’entrata nel Tempio rappresenta il primo passo sulla strada tracciata da una Scienza antichissima che, al contrario di quanto viene ammesso dalla cultura attuale, contempla solamente il metodo “soggettivo”. Un metodo di verifica diretta e strettamente individuale, per il quale ogni esperienza deve essere vissuta con piena consapevolezza da chi sperimenta la vita attraverso se stesso, e soprattutto ogni comprensione deve sbocciare da una certezza interiore, garantita a sua volta da una estrema neutralità, raggiunta con successivi aggiustamenti. In questo caso è il pieno equilibrio interiore a conferire la sicurezza di ciò che si va osservan- do e deducendo. La disciplina di cui stiamo parlando ha assunto nel tempo nomi e connotazioni diverse, ed è giunta fino a noi, nonostante le persecuzioni politiche, e i furori teologici o le contaminazioni varie, grazie all’umiltà, alla saggezza, all’estrema discrezione ed al silenzio dei suoi fedeli cultori. Si tratta della “Scienza Sacra” egizia, o “Magia Caldea”, i Greci la chiamavano “Misteri eleusini” e gli Etruschi come “Disciplina Italica””, oppure “l’Occultismo” e “l`Alchimia”.
Una lunga Tradizione, la cui origine si perde nella notte dei tempi in cui forse una Civiltà a noi ignota sprofondò sulle proprie rovine o, come ci tramandano le antiche scritture, venne sommersa dal mare, lasciandoci l’Insegnamento di una Conoscenza tuttora insuperata. Partendo da simili premesse, risulta evidente che l’ingresso al Tempio può essere visto tanto come un risveglio interiore alla realtà del Creato quanto come una accettazione dell’individuo all’interno di una ben definita organizzazione sacerdotale. Sempre in tal senso, il termine “profano”, dal latino “pro fanum”, (colui che rimane davanti al fano, ovvero all’edificio sacro), può indicare sia la persona che non si è ancora resa conto di essere venuta al Mondo in un Tempio Vivente e senza sapere di essere parte dell’Unità Universale, sia colui che non è ammesso fra le mura destinate al culto, ed è quindi costretto a seguire le cerimonie sacre rimanendo all’esterno. L’“Iniziato”, al contrario, sperimenta duplicemente la propria appartenenza consapevole all’Ordine dell’Universo ed all’Insegnamento che viene impartito all’interno della casta sacerdotale.
L’ingresso al Tempio, in qualsiasi modo lo si voglia intendere, non passa solamente attraverso lo studio di polverosi volumi, nè tantomeno si ottiene in virtù di razionali dimostrazioni matematiche. Il Silenzio, a cui per innumerevoli volte accennano i testi ermetici attraverso i secoli, costituisce pertanto uno stato mentale in cui l’Ingiziato si immerge. Uno stato di pace che il clamore del Mondo non è in grado di distruggere. è così che ancora oggi accingersi a penetrare nella Conoscenza significa varcare la soglia di un Mondo diverso e prendere contatto con la freschezza rigenerante di una immemorabile corrente di pensiero, che conduce al “Sancta Sanctorum” del proprio Essere. il vero Laboratorio nel quale l’alchimista pratica da sempre per ottenere la “polvere di proiezione”, I“’elisir di lunga vita” e la “Pietra filosofale” consiste nel proprio medesimo corpo, nella propria Psiche e nella propria mente. Ovunque vada e qualunque cosa gli possa accadere, l’alchimista porta con se il Laboratorio. Il Laboratorio è composto da tutto ciò che l’alchimista ha dentro di se, nonchè dall’ambiente che ovunque lo circonda, Per essere precisi quindi, il Laboratorio coincide con l’intero Universo.
Mefistofele e la Loggia
Il pavimento a scacchi della loggia è un simbolo molto complesso e si presta a numerose allegorie ed è fondamentale che lo si consideri prima di ogni altra cosa. Nei nostri lavori ci muoviamo su di esso, così come all’esterno ci muoviamo sulla scacchiera della vita. Esso crea un luogo peculiare al di fuori del tempo dove i nostri simboli prendono vita, quasi che sia un cerchio magico. Sostanzialmente rappresenta, prima di ogni cosa, il dualismo che è la palestra della nostra esistenza. Quando l’universo è emerso dalla non esistenza, dall’“Uno” è nato il “duplice”, gli opposti, la luce e l’ombra. Il nostro cammino, la nostra ascesi, ci porta verso l’unione degli opposti per ottenere la reintegrazione dell’unità primigenia. In loggia impariamo a considerare il pavimento come la sintesi dell’esistenza umana con le sue gioie e i suoi dolori, le sue luci e le sue ombre. Delle luci dovremmo conoscere abbastanza ma credo che sia utile parlare delle ombre per inquadrarle nella loro vera natura. Dal nostro punto di vista le parti oscure sono identificabili approssimativamente con un personaggio: quello di Mefistofele. Il suo nome significa “Colui che odia la luce”. Egli era un personaggio della demonologia e letteratura medievale.
Goethe lo recupera e lo riabilita nella sua opera più famosa: “Il Dottor Faust”, che nonostante le apparenze è un’opera alchemica dall’inizio alla fine. Mefistofele assiste il dottor Faust dal momento in cui vende la Propria anima al Principe dell’Inferno. Goethe ha trasformato il personaggio medievale di Mefistofele in simbolo metafisico, in un potente stimolo evolutivo, affinchè l’umanità non si addormenti in una Pace ingannevole e amorfa. Mefistofele senza esserne cosciente, ha l’incarico di svolgere nel mondo il ruolo dell’ inquietudine feconda e creatrice; ha dunque un suo posto nel progresso evolutivo come uno dei fattori essenziali, anche se negativi, del divenire universale. E’ lui che dice sconsolato a Faust.
La visione globale del progresso, il suo armonioso progredire, sfuggono alla sua intelligenza limitata, egli crede di condurre gli uomini alla dannazione mentre, alla fine, questi trovano la salvezza. Il mistificatore è sempre mistificato. Possiamo vedere in Mefistofele la tendenza perversa della razionalità che risveglia le forze dell’inconscio solo per attingervi poteri e soddisfazioni invece di integrarle nell’insieme armonioso degli atti umani. E’ l’apprendista stregone che gioca con l’inconscio e lo porta alla luce della coscienza soltanto per schernirlo meglio.
La coscienza, risvegliata, dovrà liberarsi dal giogo del razionalismo, e tracciare essa stessa la propria via, colui che l’ha risvegliata diventerà così la vittima. Tutto ciò che non abbiamo risolto si ripresenterà periodicamente davanti a noi finchè non riusciremo ad integrarlo nella nostra coscienza. Mefistofele è il simbolo della vita stessa, con tutti gli equivoci e le sfide che essa comporta. Faust non era riuscito a vivere pienamente una parte importante della sua gioventù, in conseguenza di ciò, aveva rinunciato ad una parte di se ed era rimasto incompleto. Gli obiettivi della ricerca metafisica, cui aveva dedicato la sua esistenza, continuavano ad essere irrealizzati. Gli ripugnava far fronte alla sfida della vita, a provarne sia il male che il bene. Tale aspetto del suo inconscio viene illuminato da Mefistofele. Questo richiamo del lato oscuro della personalità, dell’energia che esso rappresenta e del suo ruolo nel preparare l’uomo alle lotte della vita, è un momento fondamentale di transizione e di perfezionamento.
La Catena d'unione
In massoneria viene da sempre praticata una antica consuetudine si tratta della catena della fratellanza massonica in cosa consiste questa pratica? Al termine della cerimonia i fratelli si riuniscono al centro della sala e incrociano davanti a se le braccia il braccio destro sopra e il braccio sinistro sotto. in questo modo ognuno può afferrare le mani delle persone che gli stanno ai lati in questo modo si forma un solido anello dove l’unione materiale comporta anche l’unione animica dei suoi membri. Fin qui va tutto bene, i fratelli si stringono le mani le muovono in su e giù e poi si sciolgono, ma così non è corretto. Qualche loggia più smaliziata osserva un momento di raccoglimento senza muovere le mani in alto e basso, per poi sciogliersi. Nessuno sa perchè. La simbologia della catena è densa e pregnante, da sempre infatti essa allude ai legami e alle relazioni tra il cielo e la terra. Platone fa riferimento alla corda luminosa che incatena l’universo questa catena d’oro che servirebbe a collegare il cielo e la terra. Anche Omero cita la catena come prova della sottomissione degli dee e degli dei a Zeus signore del tuono. Nelle antiche saghe irlandesi si parla dei guerrieri divini che combattono incatenati gli uni agli altri, e per questo erano invincibili.
Persino i templari si raffiguravano in due sopra lo stesso cavallo come se fossero incatenati insieme. La simbologia della catena d’oro è ripresa dallo pseudo Dionigi l’Areopagita, che la descrive infinitamente luminosa e presente dall’alto in basso nell’universo. Da tutte queste premesse possiamo delineare la catena come un rituale quasi magico atto a suscitare un qualche effetto. In senso psicologico poi la catena rappresenta la necessità di un adattamento alla vita collettiva ed alla capacità di integrazione nel gruppo ed indica una fase dell’evoluzione personale. Dal punto di vista psichico è l’indispensabile sentire il legame sociale non come una catena pesante e imposta dall’esterno, ma come un’adesione spontanea. Noi tutti che abbiamo fatto almeno una volta la catena, qualche volta non ci siamo sentiti coinvolti, altre volte abbiamo percepito palpabilmente il motivo per cui questa pratica viene eseguita. Essa è l’unione animica che si realizza tra le persone che ne fanno parte, la trasposizione ad un livello superiore.
Meister Eckhart descrive nei suoi scritti questa pratica che veniva praticata con le mani unite intonando una sillaba con tonalità gutturale, la sillaba “Iuu” nelle due maniere continua o ritmica, realizzando quello che potremo definire un “Mantra”. La cosa ha un senso se si considera la natura vibratoria del creato, esso si è originato dal “Logos” divino dal verbo, la parola che vibra tutt’ora sostenendo le galassie. La natura vibratoria del nostro “Mantra” si accorda con la musica delle sfere pervadendo il nostro essere, e realizzando una intima unione animica tra i presenti.
A che Ora si svolgono...
E'stato sollevato il problema dell’ora simbolica in cui si svolgono i lavori muratori. Nel rituale emulation non si parla di ora dei lavori fatta eccezione dell’ora della sospensione e della ripresa. Infatti viene chiesto durante la fase della sospensione, che ora è? Viene risposto che è mezzogiorno in punto, i lavori vengono quindi sospesi per poi riprenderli quando si afferma che è mezzogiorno passato. Ad una visione superficiale si potrebbe quindi dedurre che l’ora dei lavori si colloca durante il giorno prima e dopo mezzogiorno con la pausa meridiana. Per quando possa sembrare strano si tratta di un falso. Nella libera muratorìa non conta tanto la parola, quanto il simbolo, il gesto, l’emblema. Non deve sfuggirci che, durante tutta la durata dei lavori, viene abbassata la colonnina del secondo sorvegliante con il globo terrestre, e viene alzata la colonnina del primo sorvegliante alla cui sommità, c’è una sfera con un cielo stellato. Questo è il simbolo del profondo della notte. Non solo, il soffitto del tempio è decorato con un cielo stellato e blu notte. Nella stesura del primo rituale “Emulation”, non era presente il paragrafo della sospensione e della ripresa dei lavori, ne per quanto ne sappiamo era presente nei rituali antichi che avrebbero dato origine al nostro rituale.
L’aggiunta è postuma, per poter permettere di leggere le tavole di loggia e probabilmente è un innesto di origine continentale, avvenuto a meta del XIX secolo. Il mezzogiorno era nell’antichità un momento particolare, era il momento in cui l’ombra si dissolveva e il Sole cessava di salire ed apparentemente invertiva il suo corso, per questo veniva investito di una grande valenza magica. Mezzogiorno segna una sorta di istante sacro, perciò a metà del giorno, all’interno dei templi, si tiravano le tende e si vietava l’ingresso ai mortali. Tutti i lavori venivano sospesi, e nessuno doveva trovarsi per la via perchè era l’ora delle divinità e dei fantasmi. Ma torniamo alla mezzanotte, inizialmente la notte era indistinta e simbolo del caos, ma con l’invenzione della clessidra ad opera di Tolomeo Evergete si riuscì a dividerne le ore. La mezzanotte come momento dei fantasmi e delle streghe non esisteva ancora, perchè sono tutte ideazioni recenti. Per ora la mezzanotte è solo l’opposto del mezzogiorno, il seme da cui avrà origine il giorno, il buio da cui nascerà la luce. Tutte le iniziazioni antiche avvenivano la notte, i riti iniziavano perlopiù al tramonto, come avveniva ad esempio nei misteri eleusini. In Egitto le iniziazioni ai misteri isiaci si svolgevano nella grande piramide o in un tempio addobbato da sembrare l’oltretomba.
Nel mitraismo veniva creata una notte artificiale, ed il mitreo, anche se frequentato di giorno doveva sembrare frequentato dalla notte, per questo il soffitto veniva dipinto con il cielo stellato e la struttura a finta grotta. Perchè la luce che doveva illuminare i presenti doveva brillare nel buio. La notte e la mezzanotte che di questa è la profondità, deve far concentrare sulla propria interiorità perchè nel nostro iniziale buio interiore comincia il viaggio che ci porterà a scoprire l’inestinguibile luce interiore. San Giovanni scriveva che nella nuova Gerusalemme “non vi sarà più bisogno del sole, perchè Iddio ne sarà la luce”, per questo il Cristo veniva rappresentato come il sole che sorge eternamente, e Cristo è nato a mezzanotte. San Gregorio di Nissa commenta così “Il gran giorno della vita eterna non sarà più illuminato dal sole visibile, ma dalla vera luce, il sole della giustizia, detto “Oriente” dai profeti perchè non nascosto dai tramonti. Infine vogliamo citare R. Guénon, che affermava il culmine del sole spirituale ha luogo a mezzanotte per analogia inversa con quello del sole fisico, e l’iniziazione ai misteri antichi era assimilata al sole di mezzanotte.
Il Segreto Massonico
Tutti coloro che iniziano il cammino di ricerca interiore che accompagna la Massoneria dagli albori, hanno l’aspirazione di raggiungere il cosidetto “Massimo Segreto Massonico”. Questo argomento ha sempre ammantato di mistero la traduzione muratoria. L’argomento è complesso, prima di tutto perché non esiste conoscenza o formula rivelata, che per il fatto di conoscerla o pronunciarla comunichi per se stessa un potere o una sapienza. A meno di non aver già raggiunto attraverso altre strade un livello iniziatico tale per cui si è ottenuto un trasmutazione umana tale che ogni parola diventa “Parola di Potenza”. Quest’ultima espressione ha un senso nelle tradizioni antiche ed anche in quelle attuali, perché sottintende la possibilità dell’evoluzione dell’uomo fino ad un livello agire in maniera attiva sulle forze che agiscono sul creato. Nella scienza dei Magi a cui noi facciamo riferimento, la creazione non è un “Topos” che si colloca all’origine dei tempi, ma è una dinamica che si svolge in continuazione.
Importante è notare che nella nostra istituzione l’essere umano è incompleto e la reintegrazione finale che noi vogliamo ottenere viene comunemente indicata come il ritrovamento della parola perduta.
Il “Segreto massonico” nella tradizione latomistica, va sotto il nome simbolico di parola perduta, parola che, andata persa per cause accidentale deve essere ritrovata, indubbiamente il concetto di ritrovamento della “Parola Perduta” concetto onnipresente in massoneria, con tutti i suoi risvolti escatologici e magici, è affascinante ma bisogna andare oltre al simbolismo rasoterra, visto ché più che una parola, si tratta di un corpus di conoscenze di esperienze e di pratica “iniziatica”. Ciononostante ci sono anche “Parole”; A titolo di aneddoto citiamo un caso storico: la mattina del 13 maggio 1653, William Backhouse, il maestro di Elias Ashmole (che viene giustamente considerato il primo massone ufficiale) ebbe un attacco cardiaco e credette di essere in punto di morte, lo chiamò a sé e gli rivelò “il segreto per compiere l’opera alchemica”, ce lo dice lo stesso Ashmole nel suo diario. Quindi viene evidenziata la tradizione di una singola frase che può essere sillabata per trasmetterla al discepolo, tutt’oggi nelle iniziazioni e nei passaggi di grado viene sillabata la parola di passo, forse memori del caso di Ashmole e Backhouse.
Queste notizie rimandano all’analogia con la tradizione orientale dove vediamo che il discepolo, iniziato da un maestro e messo a parte delle segrete cose, riceve una frase un “Mantra” che è individuale, solo per lui e gli viene detto in un orecchio perché nessun altro deve ascoltare questa “formula magica”, essa ha una particolare tonalità vibratoria in grado di mettere in moto energie sottili che portano all’evoluzione del discepolo. Similmente esistono in alchimia ed in massoneria, che da essa deriva numerose parole, nascoste nelle pieghe del rituale. Molte parole hanno un significato che va aldilà della loro influenza fonetica o del loro significato antropologico.
Ma torniamo all’inizio, la conoscenza iniziatica è una acquisizione complessa che va percepita non solo intellettualmente ma con ogni parte del nostro essere quindi necessita di uno studio approfondito e di una applicazione costante, se ne deduce che quella che viene insegnata, è la via attraverso cui ottenere il risultato perseguito, non è un percorso per pigri. Un maestro può però insegnare al discepolo le scorciatoie per permettere di compiere il salto ed ottenere il raggiungimento di un livello superiore.
Nell’arte muratoria, durante i lavori nel Tempio ci confrontiamo continuamente con delle raffigurazioni simboliche queste raffigurazioni sono degli emblemi, un emblema consiste in una costellazione di simboli che costituiscono un discorso articolato e complesso per indurre nell’adepto la comprensione di qualcosa di più grande della mente umana. Quando noi con l’aiuto dell’intuizione esploriamo un simbolo non facciamo altro che meditare nella accezione orientale, pratichiamo quello che gli indiani chiamerebbero “Dhyana” atto in cui una concentrazione superficiale cede il passo ad un flusso costante di consapevolezza verso l’oggetto della meditazione, la successione degli eventi porta alla contemplazione dove c‘è la completa fusione tra l’osservante, l‘oggetto e l‘atto stesso di osservare.
Ad esempio nel Tempio dell’Arco Reale noi possiamo notare la somiglianza con altre simbologie, ad esempio l’Adamo Cadmon della Kabalà lo studio attento dei vari simbolismi non è solo intellettuale perché a poco a poco questo induce in noi una consapevolezza che viene dal profondo di noi. Questo induce una percezione nuova che è pre-logica e che comporta una sorta di fusione con l’emblema.
Questo ci eleva al di sopra del normale stato di coscienza e ci permette di acquisire una conoscenza al di sopra della normale portata della mente umana, possiamo paragonare questa situazione a quella della ricerca zen dove il cercatore cerca di capire che cosa è lo zen, ma lo zen non è acquisibile attraverso le parole, e può essere compreso solo dopo la molta pratica e l’esperienza esplosiva del “Satori” che è un pò come l’illuminazione sulla strada di “Damasco”. Dunque il fratello ha acquisito una conoscenza che non è esprimibile a parole anche se viene normalmente indicata come il “Verbo” “la Parola” “la Parola perduta”. Questa conoscenza non è ora comunicabile agli altri, perchè il fratello si trova ad un livello diverso, e per poter comunicare questo segreto bisogna che gli altri si elevino a questo livello acquisendo quella conoscenza, ma ora non è più necessario comunicarla perché anche l’altro la conosce.
Il Nodo e il Labirinto
Originariamente si chiamava labirinto il palazzo cretese di Minosse, dove era rinchiuso il Minotauro, e da dove Teseo uscì con l’aiuto del filo d’Arianna. Esso quindi ha come elementi essenziali la complicazione della sua pianta e la difficoltà del percorso: il labirinto è essenzialmente un intersecarsi di vie alcune senza uscita che costituiscono dei vicoli ciechi attraverso i quali si deve scoprire la via che conduce al centro, l’essenza stessa del labirinto è di circoscrivere in uno spazio più piccolo possibile il groviglio più complesso di sentieri e di ritardare così l’arrivo del viaggiatore al centro che vuole raggiungere. Questo tracciato complesso ci dice Virgilio era disegnato sulla porta dell’antro della sibilla Cumana, quello da dove si entrava nell’Ade. Esso era inciso sul pavimento delle cattedrali; era danzato in diverse regioni, dalla Grecia alla Cina; era conosciuto in Egitto. Frequentemente associato con la caverna, il labirinto deve ad un tempo permettere l’accesso al centro attraverso una sorta di viaggio iniziatico e vietarlo a quelli che non sono qualificati. In questo senso si è accostato il labirinto al mandala che talvolta ha un aspetto labirintico. Si tratta dunque di una rappresentazione di prove iniziatiche, discriminatorie e preliminari al cammino verso un centro nascosto.
Si dice che i labirinti incisi sul pavimento delle cattedrali erano ad un tempo la sigla delle confraternite iniziatiche dei costruttori e il sostituto di pellegrinaggi in terra santa. Questo perchè il centro della cattedrale era assimilato al centro del tempio di Gerusalemme. L’eletto arrivava al centro del mondo o il simbolo di questo centro. Il credente invece che non poteva compiere il vero pellegrinaggio si accontentava di percorrere nell’immaginazione il labirinto fino a che arrivava al centro, ai luoghi santi. Un pellegrinaggio vicario famoso era quello che si percorreva in ginocchio lungo i duecento metri del labirinto della cattedrale di Charter. Il labirinto annunzia la presenza di qualcosa di prezioso o di sacro. Esso può avere una funzione militare per la difesa di un territorio, un villaggio, una città, una tomba, un tesoro, non permette l’accesso se non a quelli che ne conoscono la pianta, agli iniziati. Ha una funzione religiosa di difesa contro gli assalti del male. In Cina i vialetti davanti le case sono sempre di forma sinuosa, perchè c’è la credenza che il drago del male può camminare solo dritto e quindi non percorre strade curve. Il male non è soltanto il demonio, ma anche l’intruso, colui che è pronto a violare i segreti, il sacro, l’intimità dei rapporti con il divino. Il centro che il labirinto protegge, sarà riservato all’iniziato, a colui che attraverso le prove dell’iniziazione (i circuiti del labirinto) si sarà mostrato degno di accedere alla rivelazione misteriosa.
Una volta giunto al centro è come consacrato, introdotto negli arcani, legato dal segreto. I rituali labirintici sui quali si fonda il cerimoniale di iniziazione, hanno giustamente per oggetto di insegnare al neofita nel corso stesso della sua vita di quaggiù, il modo di penetrare senza disperdersi nei territori della morte (che è la porta di un’altra vita). In un certo modo l’esperienza iniziatica di Teseo nel labirinto di creta equivale alla ricerca delle mele d’Oro del giardino delle Esperidi o del vello d’Oro. Ciascuna di queste prove conduceva a penetrare vittoriosamente in uno spazio difficilmente accessibile e ben difeso nel quale si trovava un simbolo più o meno trasparente della potenza, della sacralità e dell’immortalità. Il labirinto potrebbe avere anche un significato solare per la doppia scure della quale sarebbe il palazzo, e che è incisa su molti monumenti minoici. Il toro chiuso nel labirinto è anch’esso solare, e qui forse rappresenta la potenza reale, il dominio di Minosse sul suo popolo. Mentre i gradini a spirale dello ziggurat sono la proiezione tridimensionale di un dedalo elicoidale, il nome stesso del labirinto, “Palazzo della scure”, ricorda che a Cnosso l’abitazione mitica del Minotauro era soprattutto il santuario della doppia ascia, emblema della regalità, Cioè del fulmine arcaico di Zeus-Minosse.
Nella tradizione cabalistica ripresa dagli alchimisti, il labirinto svolgerebbe una funzione magica e sarebbe uno dei segreti attribuiti a Salomone. È per questo che il labirinto delle cattedrali, serie di cerchi concentrici interrotti in certi punti, in modo da formare un tragitto bizzarro e inestricabile, sarebbe chiamato labirinto di Salomone. Secondo gli alchimisti sarebbe un’immagine del lavoro intero dell’Opera, con le sue difficoltà maggiori; quella della via da seguire per raggiungere il centro dove avviene il combattimento tra le due nature; quella del cammino che l’artista deve percorrere per uscirne. Questa interpretazione si ricollegherebbe a quella delle dottrine ascetico-mistiche: concentrarsi su se stessi, attraverso i mille cammini delle sensazioni, delle emozioni e delle idee, sopprimendo ogni impedimento all’intuizione pura e ritornare alla luce senza smarrirsi nei giri del labirinto. L’andata e il ritorno nel labirinto sarebbe il simbolo della morte e della risurrezione spirituali. Il labirinto conduce anche all’interno di se stessi, verso una sorta di santuario interiore e nascosto, nel quale si trova la parte più misteriosa della persona umana. Si pensi alla mens, al tempio dello spirito santo nell’anima in stato di grazia o ancora alle profondità dell’inconscio.
Questi non possono essere raggiunti dalla coscienza se non in seguito a lunghi giri o a una intensa concentrazione, fino all’intuizione finale dove tutto si semplifica come per una illuminazione. E’ in questo luogo segreto che si ritrova l’unità perduta dell’essere che si era dispersa nella moltitudine dei desideri. L’arrivo al centro del labirinto come al termine di una iniziazione, introduce in una dimora invisibile che gli adepti hanno sempre lasciato nel mistero, o meglio che ciascuno poteva immaginare secondo il proprio intuito o le sue affinità personali. Il labirinto sarebbe una, combinazione dei due motivi della spirale e della treccia ed esprimerebbe la volontà di raffigurare l’infinito sotto i due aspetti che esso riveste per l’immaginazione dell’uomo, cioè l’infinito perpetuamente in divenire della spirale, che, almeno teoricamente può essere pensata senza compimento e l’infinito dell’eterno ritorno raffigurato dalla treccia. Più il viaggio è difficile, più gli ostacoli sono numerosi e ardui, più l’adepto si trasforma e nel corso di questa iniziazione itinerante acquista un nuovo sè. La trasformazione dell’io che si opera nel centro del labirinto e che si affermerà nel grande giorno alla fine del viaggio di ritorno al termine del passaggio dalle tenebre alla luce, contrassegnerà la vittoria dello spirituale sul materiale, e nello stesso tempo dell’eterno sul caduco, dell’intelligenza sull’istinto, del sapere sulla violenza cieca.
Per concludere parleremo di un labirinto molto particolare quello che va sotto il nome di “Nodo di Salomone”. Esso, dal nostro punto di vista, è la fase successiva alla conquista del centro del labirinto ed è una raffigurazione del divino. E’ presente come decorazione ubiquitariamente in tutto il mondo fin dall’antichità. Lo troviamo nei templi indiani come simbolo di Shiva il dio della trasformazione, spesso con una svastica iscritta nel suo interno, che ne rappresenta il completamento. (naturalmente non si tratta della svastica rovesciata dei nazisti, che avevano capovolto il simbolo originale, come se dei cristiani usassero come simbolo il crocefisso capovolto). Lo troviamo nelle costruzioni minoiche di seimila anni fa, in quelle di Malta e nell’antica Roma, nelle sinagoghe ebraiche e nei templi cristiane. San Bernardo lo faceva incidere nelle sale capitolari dei suoi conventi, per cui il Priore ogni volta che doveva prendere una decisione aveva davanti a se il simbolo dell’eternità. I cristiani dei primordi lo incidevano nelle catacombe prima e sui mosaici e nei codici miniati dopo. Oggi però che se ne è perso il significato, tende a passare inosservato come una decorazione qualunque.
Lo Scheletro
Presente alle spalle del candidato o raffigurato schematicamente nello specchio come teschio, è di solito considerato la personificazione della morte e talvolta del demonio. Nell’alchimia è simbolo del nero, della putrefazione, della decomposizione, colore e operazioni che preludono alle trasmutazioni. Esso non rappresenta una morte statica, uno stato definitivo, ma una morte dinamica, se così si può dire, annunciatrice e strumento di una nuova forma di vita. Lo scheletro, è a volte raffigurato con il sorriso ironico e l’atteggiamento pensoso, rappresenta simbolicamente il sapere di colui che ha varcato la soglia dell’ignoto e che ha conosciuto con la morte i segreti dell’aldilà. La sua comparsa nei sogni indica l’imminenza di un avvenimento importante che trasformerà la vita, rompendo la consuetudine, di cui il soggetto avverte con angoscia la prossima scomparsa senza sapere ancora che cosa gli succederà. Questo tipo di sogno è indice di progresso nel percorso massonico.
Nell’Antichità, come ci dice Apuleio (scrittore romano autore tra l’altro del racconto iniziatici: “l’asino d’oro”), erano diffusi sigilli o statuette raffiguranti uno scheletro, che servivano a operazioni magiche. Questi scheletri erano considerati immagini di Mercurio (Hermes), dio psicopompo, o guida delle anime, che godeva dei privilegio di poter discendere agli Inferi e di risalirne, così come di guidare le anime dei defunti. Potremmo vedervi in questo un tentativo di identificazione simbolica del morto con il dio affinché il primo partecipi dello stesso privilegio di poter uscire dagli Inferi o, inversamente, affinché il secondo consacri e conduca quella persona agli Inferi.
Nel Satiricon di Petronio uno scheletro d’argento dalle articolazioni mobili fa la sua apparizione in un banchetto come simbolo non più di un dio o di un morto particolare, ma come simbolo della morte in generale e della brevità della vita. La vista dello scheletro nel corso della festa doveva eccitare i convitati a godere più intensamente gli istanti effimeri del piacere. Lo scheletro che faceva la sua comparsa nel corso delle agapi non era un’eccezione nell’antichità, non più delle danze macabre nell’arte medievale. (Vedi Bergman, Il Settimo Sigillo).
Il Silenzio ed Arpocrate
Nei tempi antichi per poter essere ammessi alle iniziazioni pitagoree ed egizie bisognava osservare il silenzio per circa un anno, sia all’interno del tempio sia fuori nella vita profana. Oggi l’apprendista non ha una regola così stretta anche se conserva il divieto di parlare in loggia. Il silenzio serve a riportarci all’interno di noi, a riflettere, a fare quella che veniva definita la meditazione silenziosa.
Abbiamo già detto come nell’antico Egitto nei templi misterici era raffigurato Arpocrate il dio del silenzio, nell’aspetto di un giovane nell’atto di portare il dito alle labbra. Esso indicava come afferma Plutarco, che gli uomini che conoscono gli Dei, non dovevano parlarne in maniera irresponsabile. Per questo motivo era collocato nei templi. Il suo gesto, lo fa distinguere da tutti gli altri dei dell’Egitto, con i quali aveva qualche similitudine nei segni che l’accompagnano. Per alcune similitudini è stato spesso confuso con Horus. Gli Egizi dicevano che Arpocrate era l’altro figlio di Iside e Osiride ma forse la frase era da prendere in senso simbolico. Questo dio aveva degli attributi, ovvero dei simboli: il cane il gufo e il serpente. Il cane era simbolo di fedeltà, il gufo di saggezza e di sapienza perché vede nel buio, ed il serpente alla prudenza, inoltre era anche simbolo della conoscenza segreta. Spesso Arpocrate era raffigurato da solo ma con dei raggi intorno alla testa, simbolo di divinità e di conoscenza realizzata. Essendo il dio del segreto, era anche dio della saggezza e della conoscenza esoterica. Frequentemente era raffigurato sul fiore di loto o di giglio bianco e con il corno dell’abbondanza, come risultato della grande opera compiuta. Plutarco diceva che, benché fosse situato all’ingresso dei templi il suo messaggio era rivolto solo agli iniziati non al volgo, visto che l’identità della stessa divinità era ignota.
L’apprendista che si avvia a conoscere i segreti, viene virtualmente identificato con Arpocrate stesso.
Il silenzio massonico non è imposto solo nel tempio, ma anche fuori. Ogni massone deve osservare il silenzio e la discrezione, astenendosi dal parlare con i profani dei lavori che si svolgono in loggia.
Essere Liberi
Nel Medio Evo, quando la massoneria era solo una corporazione di scalpellini e di costruttori di cattedrali, al tempo del feudalesimo, il popolo era costituito da servi della gleba pressoché in stato di schiavitù, legati alla terra di cui il feudatario era proprietario. Essi non erano padroni del loro destino, ne potevano allontanarsi dal territorio. Coloro che facevano parte delle corporazioni di mestiere, erano invece liberi e padroni di se stessi. Tra le varie corporazioni poi, quella degli artigiani della pietra era la più privilegiata ed all’interno di questa corporazione c’era la massima libertà di viaggiare, spostandosi a piacimento nel mondo allora conosciuto dovunque vi fosse una cattedrale da costruire. Non era facile entrare nella corporazione ed i membri avevano ideato una serie di segni e di parole che servivano a riconoscersi tra di loro. Avevano inoltre elaborato un linguaggio gergale, un “Argot”, che permetteva di intendersi anche parlando lingue diverse. Ciò veniva fatto per evitare, che degli estranei entrassero senza averne i requisiti. Coloro che entravano nella corporazione non dovevano essere servi della gleba, perché costoro non appartenevano a se stessi, ma al feudatario.
Oggi noi siamo muratori speculativi e questi concetti li applichiamo soltanto alla morale ed allo spirito.
Quando qualcuno é prigioniero diciamo che è in cattività. Il popolo ebraico ad esempio subì la cattività a Babilonia. Il termine deriva dal latino “Captivus” che significa prigioniero, Con l’avvento del cristianesimo si cominciò ad usare questo termine per indicare quelli che erano schiavi del male per questo ancora oggi noi diciamo che chi compie azioni malvage é cattivo. cioè non é libero.
Noi siamo liberi finché l’inclinazione verso il bene non è ostacolata da condizionamenti di sorta o da vizi dell’animo. Entrando nella Massoneria da uomini liberi continueremo a lavorare su noi stessi perfezionando il nostro essere fino ad essere la pietra levigata con cui l’artefice edificherà un tempio dello spirito.
(Graziani M., Massoneria Emulation, Ed. Bastogi, 2001)
L'Ignoranza
L’ignoranza, ci porta a credere all’esistenza di ciò che non esiste. A causa dell’ignoranza l’uomo materiale ritiene che solo la creazione fisica esista e che non vi sia nulla al di fuori della fisicità della materia. Solo quando l’uomo comprende la vera natura della creazione, ed il rapporto che esiste tra se stesso e l’Assoluto, solo allora si renderà conto di essere stato completamente accecato dall’ignoranza e dal pregiudizio e di aver dimenticato il suo vero “Sé”, ed essere la causa della sua stessa sofferenza.
L’uomo è schiavo, perché sottoposto all’influenza dei cinque mali: Ignoranza, Egoismo, Attaccamento, Avversione, Ostinazione. E lo è anche per queste otto indegnità di cuore: Odio, vergogna, paura, dolore, critica, i pregiudizi razziali, orgoglio della propria discendenza, presunzione. La crescita spirituale necessita lo sviluppo della forza morale, e questa si rafforza con l’osservanza dell’autocontrollo, della non-violenza, della sincerità, onestà, moderazione, e assenza di avidità e di crudeltà.
(S.Yuktersvar, la Sacra scienza Astrolabio Roma pag.61)
Gabinetto di Riflessione
Il candidato viene chiuso in una piccola stanza. Qui vi rimarrà per un determinato tempo della cui durata non ha però informazioni. Qui stilerà il testamento spirituale. Nella stanza ci sono una serie di oggetti e di sentenze. Questi messaggi e simboli servono ad indurre uno stato emotivo peculiare.
È qui necessario raccogliersi nella propria interiorità perché inizia il primo dei quattro viaggi che porteranno dalle tenebre alla luce. Infrangendo in successione le barriere dell’ignoranza, del pregiudizio, della morte (gli altri tre sono all’interno del tempio).
Le pareti, il soffitto, il pavimento sono di colore nero. L’importanza del nero è antica, nei livelli d’esistenza, dal mondo cosmico al mondo più intimo, il nero rappresenta le forze notturne, negative e involutive, il bianco le forze diurne, positive ed evolutive. L’oscurità è il dominio del germe, del seme e che il nero, come è stato ben sottolineato da tanti tra cui C.G. Jung, è il luogo delle germinazioni: è il colore delle origini, degli inizi, degli occultamenti, nella loro fase germinale, quella precedente l’esplosione luminosa della nascita. Questo è probabilmente il motivo per cui la dea madre era raffigurata nelle statue col volto nero non solo nella cultura greco-romana, ma in ogni parte del mondo. E questo è anche il motivo per cui statue di divinità pagane siano state considerate immagini della vergine e troneggino da più di venti secoli in santuari molto famosi. Le Vergini nere, erano dee delle germinazioni e delle caverne, come l’Artemide di Efeso dal volto scuro eppur luminoso.
Il gabinetto di riflessione nel quale si sosta corrisponde ad una discesa negli inferi. In questo luogo per poter rinascere si sperimenta la morte. E’ in questo ambiente, di preparazione e di meditazione, che diviene possibile prepararsi a morire a noi stessi, dopo aver redatto un testamento filosofico.
Uscendo dal gabinetto di riflessione poi, c’è un’altra simbologia importante anch’essa da considerare. Siete stato immerso nel nero, avete compiuto quello che in alchimia viene detta “l’Opera al nero”, la fine di questo processo si concluderà con l’indossare il grembiule dell’apprendista, esso è bianco ed i vostri guanti sono bianchi quello che in alchimia viene detto “l’Opera al bianco”. Essa ha come simbologia l’apparire di una stella bianca “mercuriale” sulla massa informe e nera della matrice.
e la sua... magia Il Gabinetto di riflessione è quel locale dove sosta il candidato prima di essere iniziato. Per certi versi ricorda la veglia d’armi del cavaliere medievale che doveva essere investito. La stanzetta angusta ha le pareti dipinte di nero, qui il candidato stilerà il suo simbolico testamento, qui dovrà lasciare tutti gli oggetti metallici o di valore in suo possesso. Per entrare nel tempio in stato di disagio. Questo da a volte una sensazione di irrealtà perché si perdono i riferimenti che ci identificano con la vita di tutti i giorni.Quando si entra nel Gabinetto di riflessione non ci si rende conto di quanto questa esperienza è destinata a cambiarci.Noi entriamo nell’elemento terra, andiamo negli inferi, intesi come un luogo che si trova al di sotto del mondo conosciuto.Alla nostra destra possiamo vedere la falce e la clessidra, i simboli di Saturno che corrispondono al nero, alla separazione e alla putrefazione alchemica, ma anche del cambiamento. Come pure il simbolo dell’implacabile passare del tempo.Alla nostra sinistra uno scheletro simbolo della morte, ma anche della quiete, le ossa sono quello che rimane dopo la tumultuosa fase della morte.Quindi alla nostra destra il nero e il cambiamento, alla nostra sinistra il bianco e la quiete, come precursori del pavimento a scacchi che troveremo nel tempio.Di fronte a noi il gallo, simbolo della luce e del sorgere del sole nonché della rinascita.Noi vediamo quindi una sorta di tunnel al cui fondo brilla la luce dell’infinito.Interiormente abbiamo lasciato i nostri averi materiali e i simboli che ci distinguono dagli altri, e facciamo testamento. Abbiamo rinunciato all’uomo che eravamo prima mentre ne sta nascendo un altro nuovo.La tensione è forte e forte è la paura dell’ignoto, non sappiamo ciò che succederà, magari abbiamo letto qualcosa, ma non è la stessa cosa che stiamo vivendo adesso.Spossati potremo anche assopirci un attimo, ma ecco che arriva il fratello che ci condurrà in loggia, e ci guiderà nella cerimonia di iniziazione. In seguito diventeremo compagno, poi maestro. Poi prenderemo degli incarichi: diacono, sorvegliante, venerabile, e discuteremo con i fratelli per chi deve essere eletto, perché io sono meglio di lui e quella carica mi spettava.Conosceremo dunque rabbia risentimento e dispetto. Il sognoMa la vita è sogno per cui immaginiamo che nel momento in cui ci siamo assopiti abbiamo iniziato a sognare, e abbiamo sognato la nostra iniziazione, i nostri passaggi di grado, i nostri incarichi, le nostre discussioni, questo mentre siamo ancora li, nel gabinetto di riflessione, in attesa, assopiti.E allora potremmo svegliarci e cominciare realmente la nostra iniziazione. Cercando di non ripetere gli stessi sbagli appena sognati.Magari sognando di nuovo, di svegliarci ancora nel gabinetto di riflessione, prima della cerimonia, fino a capire quello che siamo venuti a cercare in Massoneria.Chissà però, quanti di noi, in questo momento, sono ancora addormentati nel gabinetto di riflessione.
La Penna e il Calamaio
Nel gabinetto di riflessione è presente anche un calamaio con inchiostro ed una penna bianca, anche qui il simbolismo fa riferimento all’opera nell’Atanor, dove il nero corvo è sopraffatto dalla bianca colomba. Ed è il nero inchiostro attraverso la penna bianca che viene incanalato lungo il calamo, e giunge alla fine sotto forma di scrittura sul candido il foglio. È il simbolo eccelso della trasmissione di antichi misteri.
V.I.T.R.I.O.L.
Esso è l’acronimo di: VISITA INTERIORA TERRAE RECTIFICANDO INVENIES OCCULTUM LAPIDEM. Esplora l’interno della terra (o la terra interiore) e rettificando, scoprirai la pietra nascosta. Socrate avrebbe detto: “conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei”. La terra da sempre rappresenta l’origine di tutta la vita e di tutte le cose: è ad essa che tutte le vite ritornano, e dopo aver subito la putrefazione, rinascono.
La terra è, dunque, simbolo di rigenerazione. E’ anche il simbolo del mondo sotterraneo, ctonio, con i suoi meandri e i suoi segreti, ma è un universo oscuro. Il simbolo della caverna rappresenta il centro del nostro vero essere, è un luogo di calma e riflessione che serve ad edificare il nostro tempio interiore, è un luogo divino di difficile accesso e invariabilmente oscuro.
Per viverlo con consapevolezza però, è necessario discendere senza esitazioni nel profondo della propria interiorità, per scoprire quel mondo dove l’amor proprio si dissolve e si può percepire una emozione incomparabilmente profonda e infinita. Davanti a questo mondo interiore, il mondo materiale perde la sua consistenza e si comincia a vederlo con tutt’altro sguardo. La nostra vita allora si illumina e cambia aspetto, i nostri pensieri e dispiaceri si attenuano. Ci rendiamo conto che questo, può sembrare un linguaggio misterioso, ma stiamo esplorando un paradiso spirituale che ognuno di noi porta dentro di Se. E’ sufficiente desiderare e lavorare per scoprirlo, anche se ciò sarà fonte di probabile smarrimento. Pensiamo che l’oscurità della caverna sia essenziale per il buon sviluppo del nostro lavoro di perfezionamento.
Dobbiamo estrarre la nostra pietra bruta dall’abbraccio della terra al fine di uscire da questa e scoprire la luce celeste per poter illuminare tutti i fratelli.
Il senso vero dell’entrare nella caverna è “l’uscirne” dopo aver trovato ciò che stavamo cercando.
(Graziani M. Massoneria emulation, Bastogi, Foggia)
Il Gallo
Su di una parete del gabinetto di riflessione viene rappresentato un gallo. Questo emblema solare annuncia il sorgere del sole e l’arrivo della luce, ma anche l’uscita dal sonno e dai sogni, Il gallo era sacro a Mercurio a motivo del fatto che il suo canto penetra le tenebre per annunciare il giorno. Questo simbolo allude alla forza ed al coraggio, virtù che servono a superare le prove a cui il candidato sarà sottoposto. Esso annuncia l’avvento della vera luce. In questo, la coscienza del candidato, dovrebbe avere una sorta di risveglio superiore permanente. Così come ci si sveglia dal sonno, allo stesso modo si esce dalla coscienza di veglia per la supercoscienza.
L'Iniziazione
L’iniziazione ha lo scopo di ottenere una “trasformazione”, una trasformazione però, che non si può ottenere all’istante, ma che esige un lavoro costante e metodico. Si tratta di dirozzare il nostro essere, intellettualmente e moralmente, per liberare lo spirito.
L’iniziazione massonica, è di tipo collettivo, ed indica la perpetua aspirazione dell’Ordine a non confinarsi unicamente nell’opera individuale di liberazione dei suoi adepti, ma di realizzare anche un’opera a carattere sociale: il miglioramento materiale, morale, e spirituale dell’umanità.
Al percorso massonico è associata “l’Arte Regia”, l’Alchimia. Al simbolismo di questa antichissima arte, è legato buona parte del percorso in questo grado. Naturalmente e non ci stancheremo di ripeterlo la trasmutazione che cerchiamo di ottenere è allegorica, ed il massone deve operarla su se stesso, perché l’oro è il simbolo di ciò che è puro e perfetto come il cuore di colui che ha percorso dentro di se il cammino di perfezione.
Il valore profondo e sostanziale dell’iniziazione, non risiede nella sua espressione manifesta, ma nella sua dimensione invisibile, occulta.
Essa opera a livello individuale, ma si estende a tutta la comunità. L’iniziazione riguarda l’individuo in quanto entità singola, ma se gli iniziati sono organizzati in una comunità per l’appunto iniziatica, il beneficio si estende ad ogni membro del gruppo stesso. L’iniziazione massonica può essere data solo all’interno di una Loggia. Nella metafora moratoria, gli individui sono i mattoni, le pietre che compongono il tempio, la cattedrale, e questo edificio, si identifica prima con la Loggia e poi, con l’intera Muratorìa Universale. Individuo e comunità nella Libera Muratorìa sono entrambi e contemporaneamente operatori attivi e soggetti passivi dell’iniziazione, in una condizione di reciproco scambio. L’iniziazione dà il via al lavoro individuale di perfezionamento del singolo massone, allo sgrossamento ed alla levigatura della pietra grezza che è in noi, ma è la Loggia di appartenenza che oltre ad aprirne la porta, fornisce anche in modo costante gli strumenti per portarlo a compimento. Il confronto continuo con gli altri fratelli liberi muratori, la simbologia presente nel tempio ed i rituali usati durante i lavori, cooperano a stimolare, sostenere e compiere il viaggio iniziatico, che comincia con l’accettazione del profano nella Libera Muratorìa e che continua per tutta l’esistenza umana.
L’iniziazione è un processo, che evidenzia si un inizio, ma non una fine, che riguarda si il singolo, ma si svolge nella collettività.
Essere iniziati significa rinascere a se stessi in modo diverso. L’iniziazione corrisponde ad un processo volontario di estraniazione dal mondo profano, dal mondo caotico della materia, per ricevere, grazie ad una catena ininterrotta, un’influenza spirituale. Quest’ultima mediante il lavoro attivo su se stessi, permette all’iniziato di rettificare a poco a poco la pietra simbolica interiore rappresentata dalla successione degli sforzi necessari per raggiungere la perfezione agognata.
L’iniziazione deve avviare il candidato alla via di realizzazione personale, consistendo essenzialmente nella trasmissione di un’influenza spirituale. Questa “benedizione” viene conferita dal maestro, egli stesso iniziato, al discepolo, in grazia di una catena ininterrotta che di maestro in maestro, ricollega l’iniziatore alle origini.
Come i simboli, anche i rituali non sono fini a se stessi, ma rappresentano piuttosto un mezzo di accesso, in quanto veicoli di simbologia. Partendo dal caos, il rituale attua un ordine e un’armonia all’interno del gruppo. Il rito ha luogo in un tempo allegorico, da mezzogiorno a mezzanotte, quale che sia l’ora effettiva di inizio dei lavori. Le pareti del tempio, una volta sbarrate le porte, diventano un recinto consacrato. Una volta lasciate le passioni o i metalli all’esterno, ogni fase del rituale prepara man mano, un clima di ricettività e di apertura interiore. Rituale e simbolo costituiscono gli elementi essenziali di ogni iniziazione, perché il rito è composto costantemente da gesti simbolici. I riti infatti sono costituiti da una successione di simboli messi in movimento, ogni gesto rituale rappresenta un simbolo in azione essi sono due aspetti di una medesima realtà.
I Tre Elementi
Il Cinebro
Il cinabro è il solfuro rosso di mercurio, e in esso si riconoscono i due elementi basilari dell’alchimia universale: lo zolfo e il mercurio. La forma antica del carattere “tan”, che lo designa in cinese, rappresenta d’altronde il cinabro entro il fornello dell’alchimista. Mentre un’altra forma arcaica evoca la trasformazione dell’uomo attraverso l’uso del cinabro. Esso è per eccellenza la droga dell’immortalità, poiché è rosso (colore del fasto e colore del sangue) e perché se ingerito ritualmente, a scopo alchemico rende il corpo rosso, ossia ne ringiovanisce il colore e gli dà la luminosità del sole. Notiamo inoltre che l’uso di ingerire cinabro non è peculiare della Cina, ma è riscontrabile anche in India e in Europa, dove fu raccomandato anche da Paracelso.
Occorre porre in evidenza che il simbolismo del cinabro non risulta dalla sua qualità di sale, che combina lo yin e lo yang neutralizzandone gli effetti reciproci (l’alchimia cinese non tiene conto dello zolfo): quello che si cerca di ottenere è lo yang allo stato puro, oro e cinabro. Questo risultato si ottiene per successive calcinazioni, effettuate allo scopo di liberare il mercurio. L’alternanza cinabro-mercurio è il simbolo della morte e della rinascita, della rigenerazione perpetua, alla maniera della fenice che rinasce dopo la combustione. Il simbolismo del cinabro si stabilisce dunque su due piani:
1) L’operazione alchimistica che realizza simbolicamente la rigenerazione;
2) L’ingestione del prodotto, che si ritiene conferisca l’immortalità fisica e psichica.
Esiste chiaramente una gerarchia fra queste due concezioni e, giustamente, i testi cinesi danno il primato alla prima. La longevità corporale è, dunque essa stessa, solo un risultato secondario.
(Eliade Mircea, Forgerons et alchimistes,Paris 1956), (Griaule Marcel, Le traitè de la fleur d’or du supreme Un, Paris 1966).
Lo Zolfo
Lo zolfo è il principio attivo dell’alchimia, quello che agisce sul mercurio inerte e lo feconda, o altresì lo uccide. Lo zolfo corrisponde al fuoco come il mercurio all’acqua, è il principio generatore maschile la cui azione sul mercurio, la sua combinazione produce i metalli. Esso manifesta la Volontà celeste (a cui corrisponde significativamente la pioggia di zolfo di Sodoma) e l’attività dello Spirito. Lo zolfo rosso dell’esoterismo musulmano indica “l’Uomo universale” – che è anche rappresentato da una fenice, e perciò il prodotto della terza fase ermetica, “l’Opera al rosso”. L’azione che lo zolfo produce sul mercurio è di trasmutazione. Uccidendolo si produce il cinabro, che è una droga di immortalità. Il rapporto costante dello zolfo con il fuoco lo mette talvolta anche in connessione con il simbolismo infernale.
(Mircea Eliade, Forgerons et Alchimistes Paris 1956 / Guenon Renè, la Grande Triade Roma).
Secondo un’altra tradizione esoterica, che si ricongiunge alla prima, lo zolfo rappresenta il soffio igneo e designa lo sperma minerale. E dunque egualmente legato al principio attivo. Esso apporta la luce o il colore.
(Alleau Renè, Aspects de l’Alchimie traditionelle, Paris 1953,pag. 245).
Lo zolfo rosso (kibrit ahmar, in arabo), la cui esistenza è leggendaria, si troverebbe all’ovest in vicinanza del mare e sarebbe assai raro. Perciò, per indicare un uomo che non ha pari, lo si chiama “zolfo rosso”.
(Encyclopédie de l’Islam, 5° vol. Paris 1938).
Lo zolfo rosso è paragonato alla transustanziazione dell’anima attraverso l’ascesi (Massignon L., la passion di al-Hallaj, Paris 1922, pag. 931). Secondo il simbolismo alchemico dei mistici musulmani, l’anima, irrigidita in una sterile durezza, deve essere liquefatta, poi congelata, operazioni seguite dalla fusione e dalla cristallizzazione. Le forze dell’anima sono paragonate alle forze della natura: calore, freddo, umidità, siccità.
Nell’anima, le forze corrispondenti sono in relazione con due principi complementari, analoghi allo zolfo e al mercurio dell’alchimista. Nel Sufismo il mercurio indica la plasticità della psiche e lo zolfo l’atto spirituale. Per Ibn Al ‘Arabi, lo zolfo designa l’azione divina (al-Amr) e il mercurio la natura nel suo insieme
(Burckhard Titus, Introduction aux doctrines ésotérique de l’Islam, Lione 1955, pag.109).
Si sa che il colore della Pietra filosofale è rosso.
Per gli alchimisti, lo zolfo è nel corpo come il Sole è nell’Universo. L’oro, la luce, il color giallo, interpretati nel senso infernale dei loro simboli, denotano l’egoismo orgoglioso che cerca la saggezza soltanto in sé, che diviene la propria divinità, il proprio principio e il proprio scopo.
(Portal Frederic, Des couleurs symbolique, dans l’Antiquité, le Moyen Age et les Temps Moderne, Paris ,1837, pag. 84).
Questo lato nefasto del simbolismo del Sole e del colore giallo è rappresentato dallo zolfo satanico della tradizione cristiana: nell’ Antico come nel Nuovo Testamento. Sodoma è consumata da una pioggia di zolfo e il castigo promesso ai malvagi nel libro di Giobbe riprende la stessa immagine:” la luce si oscurava sotto la tenda … Lo zolfo era sparso nella sua dimora … egli è sospinto dalla luce alle tenebre”, (Giobbe, 18,6). La fiamma gialla affumicata, dello zolfo, è per la Bibbia questa “anti-luce” devoluta all’orgoglio di Lucifero. La luce è divenuta tenebre: «Prendi dunque e guarda che la luce che è in te non sia tenebra» (Luca, 11, 36). Lo zolfo dunque è come un simbolo di colpevolezza e di castigo, ed è per questo che lo sì impiega nel paganesimo per la purificazione dei colpevoli.
(Portal Frederic, Des couleurs symbolique, dans l’Antiquité, le Moyen Age et les Temps Moderne, Paris ,1837, pag.86).
Il sale
I diversi aspetti del simbolismo del sale derivano dal fatto che esso è estratto dall’acqua del mare mediante evaporazione: esso è, secondo L.C. de SaintMartin, un fuoco liberato dalle acque, al tempo stesso quintessenza ed opposizione. Nella mitologia giapponese, la divinità creatrice “Izanagi” con il sale estratto dalle acque primordiali, costituì il mondo. Con significato opposto invece, il granello di sale mescolato all’acqua e sciolto in essa, è un simbolo tantrico del riassorbimento dell’io nel Sé universale. Il sale è ad un tempo mezzo di conservazione di alimentì e di distruzione per corrosione. Per questo il suo simbolo si applica “alla legge delle trasmutazioni fisiche come alla legge delle trasmutazioni morali e spirituali” (Devoucoux M. Etudes d’archeologie traditionnelle, Etudes traditionelles, Parigi 1957). Il Cristo come sale della terra (Matteo. 5, 13) rappresenta senz’altro la forza e la salvezza, ma anche la protezione contro la corruzione. Dobbiamo indubbiamente attribuire a questa proprietà l’uso del sale come mezzo di purificazione nello Shintóismo: lzanagi, ritornando dal regno dei morti, si era purificato nell’acqua salata del mare. La virtù purificatrice e protettrice del sale, è utilizzata nella vita corrente giapponese come nelle cerimonie “Shintó”: la raccolta del sale è oggetto di un importante rituale. Posto in piccoli mucchi all’ingresso delle case, sul parapetto dei pozzi, agli angoli dei terreni di lotta, o sul suolo dopo le cerimonie funebri, il sale ha il potere di purificare i luoghi e gli oggetti che inavvertitamente venissero contaminati.
Condimento essenziale e fisiologicamente necessario alla vita il sale è evocato nella liturgia battesimale. Sale della saggezza, e perciò simbolo di nutrimento spirituale. Il carattere penitenziale che talvolta gli si attribuisce è quanto meno secondario. Per gli stessi motivi, il sale era un importante elemento del rituale ebraico: ogni vittima doveva essere consacrata con il sale. La consumazione in comune del sale ha talvolta il valore di comunione, di legame, di fraternità. Si divide il sale come si divide il pane.
Combinazione, e dunque neutralizzazione, di due sostanze complementari, il sale è, oltre che prodotto finale, anche formazione di cristalli cubici: questa è l’origine del simbolismo ermetico. Il sale è la risultante e l’equilibrio delle proprietà dei suoi componenti. All’idea di mediazione si aggiungono quelle di cristallizzazione, di solidificazione, ed anche quella di stabilità, come precisa la forma dei suoi cristalli.
(Avalon A., Il potere del serpente, Roma 1968).
Il sale è simbolo di incorruttibilità. Per questo l’alleanza del sale indica un’alleanza che Dio non può infrangere (Numeri, 18,11; Cronache 13,5. Levitico 2,13) Questa fa riferimento al sale che deve accompagnare le oblazioni. In quanto sale dell’alleanza, deve esser presente in ogni sacrificio. Per i Semiti consumare insieme il pane e il sale significa stringere un’amicizia indistruttibile. Le tribù nomadi del deserto sapevano che il sale è vita, perché una dieta senza sale nel deserto conduce rapidamente alla morte. Identico significato si trova in Filone Alessandrino, quando descrive il nutrimento dei Terapeuti durante il Sabato: esso è composto di pane, di sale, d’issopo (l’erba della purificazione) e di acqua chiara. I pani dell’offerta erano accompagnati dal sale. In virtù del carattere rituale, l’uso del sale sarà adottato dai cristiani nel corso di digiuni, battesimi, eccetera.
(Joubert Annie, La notion d’alliance dans le judaisme, Paris 1963 pag.47, sg.).
Il sale può avere un significato simbolico del tutto diverso e opporsi alla fertilità. I Romani spargevano il sale sul suolo delle città che avevano raso a terra, per renderlo sterile per sempre. I mistici paragonano talvolta l’anima ad una terra salata o, al contrario, ad una terra fertilizzata dalla rugiada della grazia; «che scompaia la salsedine dell’antica condanna», (Guglielmo di SaintThierry, ispirandosi al Salmo 106, 34.) La terra è sterile perché salata, dirà ancora Guglielmo, citando un testo di Geremia, (Geremia, 17, 6). Tutto ciò che è salato è amaro. L’acqua salata è quindi un’acqua di amarezza, che si oppone all’acqua chiara fecondante. Parlando di sale esiste una contraddizione di fatto si dice che il sale sia la sintesi dei due elementi precedenti Zolfo e Mercurio ma normalmente quando parliamo di sale ci riferiamo al sale marino mentre la sintesi dei due principi precedenti da origine ad un altro elemento: Il Cinabro.
Il mercurio
Il Mercurio è un simbolo alchemico universale. Generalmente principio passivo, umido yin. Il ritorno al mercurio indica nell’alchimia la soluzione (nel senso di disciogliere), la regressione allo stato indifferenziato. Così come la donna è sottoposta all’uomo, così il mercurio è subalterno allo zolfo. Il mercurio, il “shui-yin”, argento liquido, dei cinesi, corrisponde al drago, ai liquidi corporei, al sangue e al seme, ai reni, e quindi all’elemento Acqua. L’alchimia occidentale l’oppone allo zolfo, l’alchimia cinese al loro composto: il cinabro. L’alternanza mercurio/cinabro, ottenuta attraverso calcinazioni successive, è quella dello yin e dello yang, della morte e della rigenerazione. Secondo certe tradizioni occidentali, il mercurio è il seme femminile e lo zolfo il seme maschile: la loro unione sotterranea da luogo alla produzione dei vari metalli.
Il mercurio ha il potere di purificare e di fissare l’oro, ed è considerato sia un cibo d’immortalità, ma anche un simbolo di liberazione. Il mercurio alchimistico è il simbolo del “Soma”, il tramite dell’immortalità di cui il tantrismo cerca di controllare la secrezione e la circolazione. Forse esso è anche il mezzo della liberazione tantrica mediante il rafforzamento del corpo. La scienza del mercurio è in ogni caso l’espressione della scienza della rigenerazione interiore, che noi conosciamo sotto il nome di yoga, si ritiene che la prima ottenga l’oro puro, il secondo l’immortalità.
(Danielou Jean il mistero dell’avvento, Brescia 1966, / Eliade Mircea, Yoga e immortalità Milano 1973.)
Secondo l’analisi astrologica, Mercurio viene dopo le due luci principali, il Sole, astro di vita, e la Luna, astro della generazione, cioè della manifestazione vitale del nostro mondo transitorio. Se il Sole è il Padre Celeste e la Luna la Madre Universale, Mercurio (o Hermes) si presenta come il loro figlio. Il mediatore Mercurio, il dio mitologico dai piedi alati, era il messaggero dell’Olimpo. Ciò equivale a dire che Mercurio è essenzialmente un principio di collegamento, di scambio, di movimento e di adattamento
Se a tutto ciò si aggiunge che il suo attributo è il Caduceo, la verga con due serpenti intrecciati, si può intravedere nel simbolo una natura duplice in cui sono presenti principi contrari e complementari: tenebre-luce, basso-alto, sinistra-destra, femminile-maschile… Questo moto interno costituisce la condizione iniziale dello sviluppo dell’intelligenza: separarsi dalle cose per non confondersi in esse e prendere le distanze da se stessi. L’effetto di questo metodo contribuisce ad allontanare dall’istinto e a reprimere la vita sensibile per affermare il mondo della ragione. Il processo mercuriale è l’ausiliario dell’ Io, incaricato di distoglierci dalle seduzioni della soggettività e di guidarci in un percorso sempre più ricco di contatti, con il mondo spirituale. Di fronte alla doppia pressione delle pulsioni interiori e delle sollecitazioni esterne, esso è il migliore agente di adattamento alla vita.
I Metalli
La parola metallo, in Massoneria, assume diversi significati simbolici ed è menzionata nei rituali massonici fin dalle prime divulgazioni datate 1740.
La parola metallo rappresenta la sfera materiale, intesa come insieme di oggetti e pensieri che circondano l’individuo, limitandone a volte la libertà e la capacità di apprendimento.
La prima occasione in cui l’Apprendista massone incontra la parola metallo e, dunque, si avvicina al suo significato più ampio, è all’atto della propria iniziazione: durante la fase preparatoria di tale cerimonia, il recipiendario viene infatti spogliato dei metalli; egli deposita fisicamente, nel Gabinetto di Riflessione, tutti i metalli che in quel momento porta con se provenendo dal mondo profano: monete e banconote, orologio, gioielli, chiavi ed, in genere, tutti gli oggetti metallici.
I motivi di questa spoliazione sono ben esposti nell’antico documento francese “Regulateur du Maçon”, rituale e catechismo edito in Francia all’inizio dell’Ottocento citato dall’esimia studiosa Irene Mainguy, che recita:
D. In quale stato vi trovavate quando siete stato presentato in Loggia?
R. Né nudo, né vestito, ma privato di tutti i metalli.
D. Perchè in questo stato?
R. Né nudo, né vestito, per rappresentare a noi stessi lo stato di innocenza e per ricordarci che la virtù non ha bisogno di ornamenti; spogliato di tutti i metalli, perchè essi rappresentano l’emblema e spesso l’occasione di vizi che il massone deve evitare.
Gli Altri Elementi
Il Grano
Una particolare cerimonia dei Misteri di Eleusi mette in rilievo il simbolismo generale del grano: nel corso di un dramma mistico, che commemora l’unione di Demetra con Zeus, veniva presentato un chicco di grano come un’ostia in un ostensorio e contemplato in silenzio. Era la scena dell’epoptia, o contemplazione. Attraverso il chicco di grano, gli epopti onoravano Demetra, la dea della fecondità e l’iniziatrice ai misteri della vita, progredendo nella via dell’iniziazione.
L’ostensione silenziosa evocava la perennità delle stagioni, il ritorno delle messi e l’alternanza della morte del chicco e della sua risurrezione in altri chicchi. Non si deve intendere la dea come personificazione, ma piuttosto come forza, come dinamica, e come flusso germinativo.
Il culto della dea era la garanzia di tale permanenza ciclica. Il seno materno e il seno della terra sono stati spesso paragonati fra loro: «Sembra che si debba cercare, il significato religioso della spiga di grano, nel sentimento di armonia esistente fra la vita umana e la vita vegetale, ambedue sottomesse a vicissitudini analoghe… Ritornati nella terra i chicchi di grano, il frutto più bello della terra, sono la promessa di altre spighe» (Seckan L. e Leveque P., Le grandi divinità della grecia , Parigi 1966). Ricordiamo il verso di Eschilo: «La terra che da sola partorisce tutti gli esseri, li nutre e ne riceve poi nuovamente il germe fecondo» (Eschilo, Coefore, pag.127). Possiamo citare anche la bella preghiera di Esìodo: «Pregate Zeus infernale e la pura Demetra, di rendere pesante il grano maturo, sacro a Demetra, proprio quando, iniziando il lavoro dei campi tenendo in mano il manico dell’aratro, toccate il dorso dei buoi che tirano aggiogati… Così le vostre spighe nel momento della loro maggiore pienezza inclineranno verso terra» (Esiodo, Le Théogonie, 465-469, 473).
La cerimonia dell’epoptia, che ricorda la morte e la rinascita del chicco di grano, è stata collegata all’evocazione del dio morto e risuscitato che caratterizza i culti misterici di Dioniso, ma una tale interpretazione non sarebbe altro che un derivato della prima. La spiga di grano era anche emblema di Osiride, era il simbolo della sua morte e resurrezione. Quando San Giovanni annuncia la glorificazione di Gesù attraverso la morte, ricorre anch’egli al simbolo del chicco di grano. Infatti nella citazione di Giovanni «Gesù afferma: “E venuta l’ora che il Figlio dell’Uomo sia glorificato. In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano, caduto nella terra, non muore, rimane solo, se invece muore porta molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la serberà a vita eterna”. (Gv, 12, 23-25).
Il pane e la brocca d’acqua
Questi due elementi, presenti sul tavolino nel gabinetto di riflessione, servono ad accentuare la sensazione di miseria e di privazione in cui si trova il candidato. Egli si trova senza sostegno altrui, ed ha smarrito la retta via. Questi oggetti inoltre alludono ad un’altra condizione in cui si trova il candidato, la condizione di prigionia. Pane e acqua sono nell’immaginario collettivo il pasto del carcerato. Al di fuori del tempio il candidato è prigioniero dell’oscurità, dei vizi e delle lusinghe del mondo profano. Ma pane e acqua sono anche il cibo del penitente che rinuncia per espiare, e dell’asceta che rinuncia alle comodità e ai piaceri per la ricerca del bene supremo. Pane e acqua sono presenti anche nella veglia d’armi del cavaliere errante che passa la notte in preghiera prima dell’investitura; da solo in una cappella egli è in attesa che gli appaia la dama mistica. Ma i simboli sono comunque molto ampi. Acqua e grano fanno parte del simbolismo del secondo grado che rivedremo in seguito.
La Spada e il Cappio
Il copritore interno all’ingresso del candidato nel tempio gli punta la spada. Il simbolismo della spada è duplice: da una parte ricorda la difesa del tempio dall’invasione dei profani, mentre dall’altra ha una valenza molto più importante poichè l’arma non è rivolta verso l’uomo ma verso i suoi vizi i suoi difetti, la parte oscura e l’ombra. Il copritore metaforicamente procede alla seconda fase della spoliazione dei metalli. Il candidato deve entrare nel tempio esotericamene nudo. È come se si scindesse in due, l’uomo interiore viene lasciato passare, l’esteriore, con le sue scorie, rimane fuori.
La Porta del Tempio
La porta rappresenta il luogo di passaggio fra due stati, fra due mondi, fra il conosciuto e l’incognito, la luce e le tenebre, la ricchezza e la miseria. La porta si apre su un mistero. Essa ha un valore dinamico, psicologico, poiché non solo indica un passaggio, ma invita a superarlo. E’ l’invito al viaggio verso un “aldilà…”
La porta è l’apertura che permette di entrare e di uscire, dunque il passaggio possibile – oltre che unico – da un campo all’altro: spesso nell’accezione simbolica, dal campo profano al campo sacro.
Lo stesso dicasi dei portali delle cattedrali, dei torana indù, delle porte dei templi o delle città khmer, dei torii giapponesi, ecc.
Il simbolismo dei guardiani è mutuata dall’iniziazione (che in sostanza significa entrata) questa può essere interpretata come il superamento della porta. Giano, il dio latino dell’iniziazione ai misteri, custodiva le chiavi delle porte solstiziali, cioè delle fasi, ascendente e discendente, del ciclo annuale. Si tratta rispettivamente della porta degli dei e della porta degli uomini, che danno accesso alle due vie di cui Giano (come Ganesha in India) è il maestro: “Pitri-yana” e “Deva-yana”, dice la tradizione indù, vie degli avi e degli dei. Le due porte sono ancora “Ianua inferni” e “Ianua coeli”, porta degli inferi e dei cieli.
La porta ha anche un significato escatologico. La porta come luogo di passaggio, e soprattutto d’arrivo. Diventa naturalmente il simbolo dell’imminenza dell’accesso e soprattutto della possibilità di accesso ad una realtà superiore (o inversamente dell’effusione di doni celesti sulla terra).
La porta si presta a numerose interpretazioni esoteriche. Per gli alchimisti e i filosofi, secondo quanto afferma Dom Pernety (Dom Pernety, favole egizie e greche, Genova 1885) «essa ha lo stesso significato della chiave, inizio e modo di operare in tutto il corso dell’opera». La porta rappresenta la comunicazione con l’oggetto occulto, con lo strumento segreto
Nel Tempio Massonico, la porta del Tempio è posta fra le due colonne.
La porta del Tempio deve essere molto bassa. Penetrando nel tempio, il profano deve curvarsi, in segno di umiltà per la sacralità del luogo, ma anche per sottolineare la difficoltà del passaggio dal mondo profano a quello iniziatico. Questo gesto gli ricorda anche che, morto alla vita profana, rinasce ad una nuova vita, alla quale si accede in modo simile a quella del bambino che viene al mondo. La porta dei Tempio è designata come Porta d’Occidente: questo ci ricorda che il sole si corica alla sua soglia, cioè che la Luce si spegne. Al di là regnano dunque le tenebre, ovvero il mondo profano.
Il Piede nudo...
Il profano è bendato, il vestito scomposto, ha un nodo scorsoio al collo e la parte inferiore del pantalone destro alzata, il piede sinistro è scalzato.
Probabilmente la nudità del candidato è stata scomposta in tre parti per i passaggi ai tre gradi, anche se all’origine c’era una sola iniziazione e la spoliazione è quasi totale. Nel rituale inglese, nei vari gradi infatti vengono scoperte porzioni diverse del corpo del postulante.
La simbologia tradizionale è quella della nudità dell’iniziando, che si riveste di una nuova vita, ossia rinasce. Per rinascere, tuttavia, si deve prima morire. Si deve poter passare indifferentemente dalla vita alla morte. Il mondo dei vivi, deve per l’iniziato, essere in collegamento continuo e costante con quello dei morti, divenendo un unico mondo senza soluzione di continuità.
Il Passo Rituale
I romani attribuivano al lato sinistro il carattere malefico e, pertanto, badavano a non varcare alcuna soglia con il piede sinistro, per non introdurre elementi malefici nel luogo di ingresso. Nel Tempio, al contrario, i fratelli entrano ritualmente col piede sinistro, trascinando il destro sino ad unire i due talloni a squadra. L’effetto scenico è quello di una rigidità della gamba destra, che ricorda l’asimmetria deambulatoria propria dello zoppo. Il Tempio, oltre che nella realtà superiore, avendo per volta il cielo, si colloca anche nella realtà inféra, cioè il punto di contatto tra i due mondi ed, al contempo, la loro somma. In esso, infatti, l’iniziando entra con gli occhi bendati, ossia cieco, per significare che cerca la Luce. Ma i ciechi e talvolta anche gli zoppi, sono spesso gli “Aedi”, i veggenti della tradizione classica.
Come dicevamo in Loggia si entra con un passo che simula l’azzoppamento. Quel piede che varcò la porta dell’Ade venne marchiato in modo incancellabile e reca il segno del divino (Odissea). In esso si legge l’asimmetria tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Con esso lo zoppo cammina nei due mondi: con il piede sinistro negli inferi, con il destro nella realtà superiore.
Ulisse, il quale, come è noto, giunge alle porte dell’Ade, viene segnato da una cicatrice sulla gamba. Il dio latino Saturno viene spesso raffigurato con una gamba di legno e Luciano il noto favolista greco, descrive Crono, per lo più identificato con Saturno, come un vecchio gottoso. Achille presenta un tallone vulnerabile, che lo condurrà alla morte. Ceculo, l’altro dio dei morti dei popoli del Lazio, marcia, come tutti i suoi seguaci, con un piede nudo. Esso è ambiguamente al contempo cieco e invisibile. Ceculo era il figlio del dio Vulcano “tramite” delle iniziazioni metallurgiche. Abbiamo di fronte, in questo caso, la figura dell’eroe, al contempo, debole anche di vista, come si deduce dal nome stesso, e con un calzare solo. Nella scena d’iniziazione riprodotta in un affresco del I° secolo a.C. nella villa dei Misteri di Pompei, Dioniso riverso è raffigurato con il piede destro nudo. Efesto, fabbro degli Dei dell’Olimpo, è zoppo, ed in genere, sono zoppi, guerci, monchi o storpiati anche gli dei, anche di altre mitologie, i quali detengono il segreto del fuoco e della lavorazione dei metalli. Anche alcuni personaggi realmente esistiti, ma avvolti nella leggenda, non sfuggono a questo stigma: Pitagora dalla coscia d’oro ed Empedocle che scompare nell’Etna, lasciando come unica traccia di sé un sandalo di bronzo, lanciato fuori dal vulcano.
Lo squilibrio dell’incedere e l’asimmetria deambulatoria, dunque, passano attraverso fenomeni apparentemente differenti, ma, probabilmente, equivalenti sul piano simbolico, quali il camminare con un piede scalzo, inciampare, saltellare, avere una gamba od un piede ferito o vulnerabile, trascinare una gamba, addirittura, zoppicare. L’asimmetria non può che indicare un qualche cosa di diverso dall’uomo, un dualismo che trascende il nostro mondo, quello dei vivi.
La asimmetria, il dualismo essenziale vivo-morto, trova riscontro in altri dualismi quale bene-male, maschio-femmina, bianco-nero, quest’ultimo, in particolare, assume espressione simbolica nel vessillo templare, il Beauceant, e nel pavimento a scacchiera dei Tempio massonico. Tuttavia ciò che più conta nell’iniziazione massonica è la ricerca di un superamento di questi dualismi, in una sintesi che renda possibile, a livello appunto essenziale, la comunicazione di questo con l’altro mondo, del trascendente con l’immanente, dell’individuale e dell’universale, simboleggiata dalla figura alchemica del Rebis.
Il Testamento
Si fa il testamento perchè si abbandona il mondo, in questo caso quello profano. Il testamento serve anche, a caricare di “patos” la situazione in cui si trova il candidato. Egli deve comportarsi come se fosse il suo ultimo giorno
In realtà però, questo più che un testamento è un giudizio. Il testamento infatti viene letto in loggia e discusso, e il candidato può essere anche valutato negativamente e non ammesso. Questa norma fa riferimento alla tradizione egizia della pesatura delle anime, al giudizio degli dei, i quali dovevano verificare, se il giudicando possedeva i requisiti per entrare nella vita eterna. La votazione ed approvazione del testamento sancisce il diritto all’ingresso nel tempio, cioè a ricevere la luce e la vita eterna.
La Benda e i Cappucci
La benda
La benda è simbolo d’accecamento quando è posta sugli occhi; ma anche di imparzialità. Temi dea della giustizia, ha gli occhi bendati per indicare che non favorisce nessuno e non conosce coloro che giudica. Anche Eros è così rappresentato a significare che l’amore colpisce senza vedere. La benda è posta anche sugli occhi della dea che rappresenta la fortuna, perché le ricchezze vengono distribuite a caso.
Nel Medioevo il popolo ebreo, nel suo complesso, era raffigurato come una donna “la Sinagoga”, rappresentata con gli occhi bendati per indicare il suo accecamento (non avendo saputo vedere in Gesù il Messia).
Sul piano esoterico gli occhi posseggono il senso di ritiro interiore, di contemplazione. Gli occhi sono chiusi anche alla cupidigia e alla curiosità.
La benda di tela delle monache sta ad indicare la cecità che dovrebbero avere nei confronti del mondo e, positivamente, l’atteggiamento di meditazione e di concentrazione spirituale.
Il simbolismo della benda, utilizzata nell’iniziazione massonica è di una tale evidenza che c’è appena bisogno di commentarlo: la benda del mondo profano copre gli occhi del postulante, toglierla equivale a ricevere la luce (letteralmente all’illuminazione spirituale).
Coloro che entrano nella associazioni massoniche giovanili che sono di solito figli di massoni, vengono chiamati a seconda delle obbedienze: ulivelle o lupetti. La benda dei lupetti, alla loro iniziazione è traslucida perché essi non provengono direttamente dalle tenebre esterne ma da un ambiente che riceve qualche riflesso della conoscenza iniziatica (Boucher Jules, La simbologia massonica, Roma 1974).
I riti egizi di mummificazione comportavano un’operazione che consisteva nel fasciare strettamente il cadavere con bende di lino bianco. In tal modo, le bende hanno un duplice significato simbolico. Rappresentano innanzitutto la rete di fluido vitale che circonda il cosmo, e poi la veste di luce, la resurrezione dopo l’ipnosi della morte, che è un periodo d’incubazione e di germinazione (de Champeaux G. Introduction au monde des symboles, Paris 1966, pag.77).
La cecità fisica è segno di preveggenza. Ma la preveggenza, indica un legame con la divinità, con un mondo unitario nel quale presente, passato e futuro non sono cronologicamente separabili. L’assenza di tempo è proprio il carattere principale del mondo dei morti. La cecità dei vivi corrisponde alla veggenza dei morti; così come, la visione della divinità acceca e, talvolta, uccide gli umani.
Virgilio, accompagnando Dante nel suo viaggio nell’oltretomba, narrato nella Divina Commedia, non pago di aver fatto voltare il capo al Poeta, gli copre anche gli occhi con la mano. L’iniziando, dunque, cerca la Luce ed è cieco, ma la benda lo preserva anche da una Luce che potrebbe mettere in pericolo la sua stessa vita, e la sua salute mentale.
Il Cappuccio
Nel Tempio l’iniziando non più bendato vedrà, con l’apparire della Luce, i fratelli in Loggia ma ora sono loro ad essere incappucciati. Recita il rituale: “Profano, vedete le punte delle spade rivolte verso di voi? Esse simboleggiano la difesa che avrete da tutti i Fratelli se rimarrete fedele al giuramento e, qualora voi mancaste, la loro solidarietà nel punirvi”.
Chi sono questi fratelli incappucciati, che si rivelano armati al profano? Sono coloro che, essendo già stati iniziati, sono già morti e rinati, ossia possono comunicare con l’uno e l’altro mondo. Tenebre e Luce, morti e vivi, l’analogia appare scontata. Al sorgere della Luce il Tempio si illumina, i cappucci cadono ed i morti risorgono; l’iniziato torna nel mondo dei vivi.
Il cappuccio è evidente segno del regno dei morti. Coprire il viso ai morti sembra, e non è, un gesto naturale. Molti personaggi tra cui Socrate, di Pompeo, di Cesare si racconta che si velarono il capo prima di morire. Questo gesto è stato ricondotto (forse un pò semplicisticamente) al bisogno di separare simbolicamente il sacro dal profano. Velati, perché assimilati ai morti, erano coloro che, secondo l’antico costume italico detto vera varum (primavera sacra), venivano mandati a fondare una colonia compiendo un voto fatto alla nascita, vent’anni prima. Nell’antico diritto irlandese, chi non assolveva al dovere di coprire il volto di un morto con un panno, veniva colpito dal bando. Nella mitologia greca come in quella germanica, berretti e cappucci hanno una valenza magica e donano l’invisibilità, perché aprono il passaggio con il mondo dei morti.
L’associazione tra maschere e spiriti dei morti è pressochè universale e se ne trova traccia anche in via filologica. In latino larva (la pallida immagine del defunto) designa entrambi; nel Medioevo Iarvatus è colui che indossa una maschera o che è posseduto dai demoni. “Masca”, un termine usato già nell’editto di Rotari (643 d.C.) e passato poi nei dialetti dell’Italia settentrionale, significa strega. Nei sabba per tradizione si andava mascherati.
Il mantello col cappuccio (in latino cucullus, parola di origine celtica) è un abito frequente in Gallia ed esistono molte raffigurazioni di personaggi che lo indossano, compresi alcuni personaggi mitologici (Genius Cucullatus). Il dio irlandese Dagda ha un cappuccio che assomiglia molto a quello di Sigfrido nell’anello dei Nibelunghi, cioè al mantello che rende invisibili. Secondo il racconto celtico “Il Furore degli Ulati”, il protagonista, l’invisibile Dagda, indossa uno sull’altro sette cappucci, per coprirsi la testa durante i combattimenti. E’ molto diffusa la tradizione di dei, eroi, geni, demoni e streghe incappucciati. Parsifal, armato di due capri, porta il berretto a punta dei Cabiri (divinità ctonie dell’antica Grecia)
Per C. G. Jung, il cappuccio rappresenta simbolicamente la sfera più elevata, il mondo celeste, come la campana, la volta e il cranio; coprirsi la testa significa, più che divenire invisibile, sparire e morire. Nelle cerimonie iniziatiche di molte tradizioni, i partecipanti apparivano spesso con la testa coperta da un velo o da un cappuccio.
Il Tempio
L’iniziazione è una cerimonia a carattere sacro, dunque essa può svolgersi unicamente in un luogo sacralizzato e consacrato da un rituale. Vale a dire di aver luogo solo in un tempio che comunque è un luogo chiuso e circoscritto. Nello spazio come anche nel tempo, che è qui limitato ad un tempo di dodici ore.
La Massoneria, riferendosi ad Hiram e al Tempio di Salomone, ha elaborato tutto un simbolismo su questo tema. Il tempio può essere considerato come un’immagine simbolica dell’Uomo e del Mondo. Per accedere alla conoscenza del Tempio celeste bisogna realizzarsi in se stessi, vivere in spirito per la sua ricostruzione e la sua difesa. L’orientamento stesso del Tempio, con l’ingresso a Occidente e il seggio del Venerabile a Oriente, come nelle cattedrali, è di per sé un simbolo. II Tempio rappresenta il cammino che conduce dall’Occidente all’Oriente, cioè verso la luce. E’ un luogo sacro, simbolico. Interrogato sulle dimensioni del Tempio, il Massone deve sempre rispondere: la sua lunghezza va da Occidente a Oriente, la sua larghezza da Settentrione a Mezzogiorno, la sua altezza dal Nadir allo Zenith. Essendo il Tempio un’immagine del cosmo, le sue dimensioni non possono essere definite. Il soffitto del Tempio e a forma di volta costellata: rappresenta il cielo notturno, con la sua moltitudine di stelle visibili. A Oriente, dietro il seggio del Venerabile, appare il “Delta luminoso”, ovvero il triangolo con un occhio al centro, che è l’occhio divino.
L’ambiente all’interno del Tempio è definibile come “La Stanza Segreta”
In ogni rituale di iniziazione c’è una prova che è costituita dal passaggio per una stanza segreta: cripta, sotterraneo, stanza chiusa o scavata nel suolo, radura nella foresta ecc. E’ un luogo al riparo da sguardi curiosi: l’iniziato vi viene asperso d’acqua lustrale o del sangue di una vittima sacrificata. Spesso deve passarvi la notte perché si pensa debba ricevere, durante il sonno o nello stato di veglia, le rivelazioni della divinità.
Il papiro magico “Salt” dell’antico Egitto parla di una stanza segreta, dove passa il «segno dei soffi» e dove i defunti vengono rigenerati e preparati alla nuova vita.
Apuleio descrive una di queste stanze nell’Asino d’oro (libro II, pag. 25), nel corso di un’iniziazione ai misteri di Iside. «Ho toccato i limiti della morte», farà dire a Luciano, che è il protagonista, «ho ispezionato la soglia di Proserpina… Ho avvicinato gli dei celesti e gli dei inferi… ».
Questa stanza segreta rappresenta il luogo dove l’uomo vecchio muore e dove l’uomo nuovo nasce. Può essere paragonata al battistero cristiano. Ogni iniziazione, anche la più naturale, comporta una parte di segreto e di ritiro, e la nuova vita che essa apre si fonda su una parziale morte e su una parte di abbandono.
Studiando il simbolismo delle fiabe, vediamo che il protagonista ottiene la sua fortuna superando delle prove che iniziano entrando in alcune stanze fatate (Loeffler-Delachaux, M. – Le Circle, Ginevra 1947, pag.98-100). Si distinguono tre stanze segrete, corrispondenti a tre gradi di iniziazione, ognuna con una propria serratura e una propria chiave: di bronzo, d’argento, e d’oro. Si tratta di progressivi luoghi di iniziazione, in cui l’iniziato viene dapprima purificato (chiave di bronzo), quindi istruito per dominare le forze della natura (chiave d’argento) e infine illuminato dalla conoscenza suprema e dall’acquisizione del potere (chiave d’oro).
Le tre stanze corrispondono alle fasi con cui si accede al sacro, in modo sempre più interiorizzato, come un cammino spirituale che va dal sagrato sino all’interno del tempio, e quindi, fino al tabernacolo dove risiede la divinità.
I tre baci di saluto
Fin dalle origine della nostra istituzione, è invalso l’uso di salutarci con un triplice fraterno abbraccio e conseguente bacio sulla guancia. Si tratta in questo caso di una antica tradizione, che è stata gnostica ed egizia, ma era anche praticata dagli esseni e dai terapeuti (due comunità del tempo di Gesù), tradizione questa che era propria anche dei rosacrociani. In origine il triplice abbraccio era rivolto al maestro, al capo della comunità ed era simbolo di rispetto e di obbedienza. Torna alla memoria Giuda che bacia Gesù nell’orto del Getzemani per indicare alle guardie chi era il maestro, perché solo al maestro veniva tributata questa forma di rispetto. Inoltre con il contatto fisico si è sempre pensato che si potesse veicolare una influenza positiva, un po come se si imponessero le mani per guarire. Dobbiamo considerare che nella visione spirituale, i piani di esistenza sono tripartiti, quindi in questa piccola cerimonia, con il primo bacio si entrava in contatto con l’aspetto terapeutico del maestro, con il secondo bacio si entrava in contatto con l’aspetto mentale del maestro e con il terzo bacio il discepolo entrava in contatto con l’aspetto animico del maestro. Instaurando questo contatto interiore, il discepolo riceveva una benedizione spirituale, una vera e propria elevazione, applicata a tutti e tre i piani dell’esistenza. La nostra mentalità contemporanea indubbiamente più laica, ha modificato il nostro modo di vedere le cose, e quindi si tende a ritenere ogni libero muratore di pari dignità, per questo il saluto ormai e praticato verso ogni membro della loggia. Noi massoni attribuiamo ad ognuno di coloro che salutiamo, la massima reverenza spirituale possibile.
In conclusione, la tornata è finita adesso torniamo nel mondo profano, da oggi avete qualcosa in più. Ora non siete solo degli apprendisti massoni, ma siete ambasciatori della massoneria, nessuno sa che siete stati iniziati lo sanno solo i vostri confratelli, e le persone che hanno la vostra confidenza, ma il mondo profano vi guarda, avete quindi il compito di ben rappresentare la nostra istituzione, e di suscitare quel senso di ammirazione per la serietà e la correttezza che vi contraddistinguerà.
La tolleranza
Frequentemente si crede che la tolleranza sia un concetto etico atto, nella visione più limitativa, a consentire la sopportazione degli altri e, nella visione maggiormente estensiva, a favorire il rispetto anche di chi non si può condividere. Nella prospettiva massonica, che prende le mosse dall’assenza di verità eterne, immutabili, assolute, rivelate una volta per tutte e che riconosce una scintilla della verità infinita in ciascun essere umano, il concetto di tolleranza, come si è già visto, assume una dimensione diversa. Esso garantisce quell’ascolto del pensiero altrui, che faceva dire al massone Voltaire: “non condivido le tue idee, ma sono pronto a dare la vita perché tu le possa manifestare”. Solo questo può consentire l’accumularsi delle verità plurime, in continua crescita. Quello stratificarsi di singole verità destinato a fermarsi solo quando non ci saranno più uomini sulla terra. La tolleranza si trasforma, dunque, in strumento di conoscenza al servizio del singolo individuo consapevole di essere solo parte di un tutto ben più vasto ed articolato.
Massoneria e Chiesa
Sembra fuori luogo parlare di una singola chiesa su di un testo come questo, perché come abbiamo gia detto tutte le chiese, tutte le verità rivelate e tutti i testi sacri da noi hanno pari dignità. Ma in ciò ci spinge la contingenza, benché quella cattolica, nel mondo sia tra le chiese cristiane, ormai una minoranza, e lo stesso cristianesimo nel suo complesso sia minoritario nel mondo. La sua presenza nel nostro paese risulta ancora molto ingombrante. Molti fratelli di sincera fede massonica ma cattolici, sentono il peso di opinioni denigratorie sulla nostra fratellanza, da parte del clero o di sue emanazioni. È quindi opportuno fare qualche precisazione.
Ancor oggi, in Occidente, il Vaticano è rimasto l’ultimo stato assolutista e teocratico. Esso ha finto, con ipocrisia, di condividere valori di tolleranza ed i diritti umani, solo quando ha perso il potere politico. Ha riconosciuto la persecuzione di Galileo Galilei solo dopo essere stato sconfitto dalla storia e sbeffeggiato dalla scienza, di cui ha ammesso la veridicità delle idee, ma non ha cancellato la condanna di eresia. La chiesa ha chiesto perdono ad arabi ed ebrei ma non ha fatto menzione del genocidio ad esempio dei catari o degli albigesi, e di tutti gli altri, verso cui furono organizzate delle crociate, al cui confronto Stalin ed Hitler appaiono dei dilettanti. Non si è ancora pubblicamente pentita del rogo di Giordano Bruno né della santa inquisizione o del rogo dei Templari. Qualcosa però ci riguarda ancora più direttamente: le persecuzioni antimassoniche. Dai primi del settecento in tutta Europa i massoni sono stati perseguitati incarcerati torturati e giustiziati. Molti fratelli hanno dato la vita, affinché noi potessimo esprimere il nostro pensiero di uomini liberi. Non si possono dare lezioni di morale con le mani ancora macchiate di sangue, specialmente sulla pena di morte, essendo stata regolarmente applicata nello Stato pontificio, ed abolita solo in epoca molto recente, dopo la presa di Porta Pia. Rispetteremmo di più la Chiesa Cattolica se si occupasse maggiormente di fede e non di politica.
Che cosa è la Loggia
La Loggia non è fatta dalla struttura, ma dalle persone che lavorano ritualmente insieme.
Essa è l’unità minima dell’operatività massonica, infatti nel pensiero massonico il soggetto centrale, non è il singolo massone, ma la singola Loggia. Ovvero è l’insieme degli individui uniti nella comune ricerca iniziatica e rituale della conoscenza, della Luce. Le persone mutano, variano e passano, la Loggia invece resta e si trasforma in continuamente. Storie, sentimenti, contenuti sempre nuovi ne riempiono l’involucro, ma essa accumula e sopravvive anche al silenzio del disimpegno umano e della morte. Spesso la Loggia esiste da varie centinaia di anni ed innumerevoli fratelli che non ci sono più, hanno trovato posto tra le colonne.
La Loggia è una istituzione, ossia è una organizzazione permanente, quasi immutabile. Grazie alla Loggia il pensiero massonico si preserva e si esprime attraverso i secoli, ma, al contempo, si presenta, variabile nei componenti, mutevole nella funzione e nei contenuti. Essa riunisce in sé i caratteri dell’individualità e della collettività, della soggettività e del l’oggettività. La Loggia è come un fiume la cui acqua scorre e non è mai la stessa, ma nel contempo il suo complesso è sempre uguale.
L’organizzazione interna delle Logge è fortemente gerarchica, ma tale gerarchia è elettiva, ed ha carattere esclusivamente funzionale, ossia finalizzata a garantire ed organizzare gli strumenti espressivi degli aderenti, ma non ad orientare, indirizzare, controllare, condizionare i contenuti delle loro espressioni. La varietà di questi contenuti costituisce proprio la maggiore ricchezza della Loggia. A tale gerarchia si giustappone l’autorevolezza etica, culturale, personale dei singoli componenti, oltre alla pari dignità di tutti. L’eguaglianza più assoluta, è la specifica dei rapporti interni di Loggia e ciò è sinteticamente espresso nel concetto di fratellanza.
La meta che ci si prefigge è la conoscenza completa del nostro essere e dell’universo nel quale viviamo. La ricerca del significato della vita umana poggia però, nel pensiero massonico, sul contributo critico, sull’apporto di tutti.
Tutte le verità rivelate, tutti i testi sacri ricevono uguale considerazione, e dato che non ci sono autorità gerarchiche indiscusse ed indiscutibili, ciascuno può ed è tenuto ad esprimere le proprie idee, le proprie convinzioni per apportare al patrimonio comune un ulteriore contributo di conoscenza.
Nella Loggia i singoli devono cercare di massimizzare la propria e l’altrui crescita attraverso lavori che privilegino ciò che unisce rispetto a ciò che divide. Non a caso, gli interventi verbali di ciascuno sono improntati ad aggiungere elementi di conoscenza alla discussione, piuttosto che critiche nei confronti di quanto altri hanno precedentemente affermato. Non a caso, per antica tradizione, aprendo i lavori muratori il rituale ricorda che da quel momento sono banditi i principali argomenti che dividono, in particolare politica e religione.
La responsabilità di ogni fratello è grande, non è casuale che un profano venga presentato da due fratelli che garantiscono per lui e dichiarano di conoscerlo bene e di riceverlo nella propria casa, Il legame dopo l’iniziazione continua, e si amplifica. La loggia si ingegna ad estendere le manifestazioni comuni come i funerali, la commemorazione dei defunti, i matrimoni. Allo scopo di ottenere l’armonia nella vita di Loggia
l’iniziazione vincola il fratello appena iniziato con un legame particolare agli altri fratelli seduti nel tempio.
Chi vive la vita di loggia in piena consapevolezza non solo ha una crescita personale, ma ha anche l’effetto di contribuire alla crescita degli altri. Ciò genera il sentimento di orgoglio della propria loggia.
La società cambia continuamente, ma a impedire che cambi volto resta una ferrea e invisibile “quarta dimensione”, quella muratoria, che è prima di tutto dimensione dello spazio simbolico.
Ogni Loggia, su un territorio dai precisi confini, esteso specialmente se nella zona non ce ne sono altre, ha una serie di spazi e luoghi significativi, prima di tutto una “porta” simbolica, non marcata da speciali segni architettonici ma conosciuta per tradizione. La sede della Loggia è per ognuno dei fratelli l’estensione naturale della propria casa, la casa comune dove spesso si conservano con ogni cura e si mostrano con orgoglio i beni storici, artistici e archivistici acquisiti o donati dai suoi membri.
Alla stessa maniera le persone della loggia sono considerate dai fratelli come l’estensione naturale della propria famiglia biologica. A chi ha cercato a tutti i costi analogie con altri tempi, altri luoghi e altre culture è apparsa tribù metropolitana, clan mediterraneo, moderna consorteria o fazione.
Ai massoni piace sottolineare l’unicità storica e sociologica della fratellanza, a erogare i riti di passaggio di appartenenza e di conferma di identità. La Loggia ama porsi e pensarsi nei termini di una piccola patria autonoma, una città nella città.
Le contraddizioni
Uno dei caratteri più intriganti dell’istituzione è la apparente contraddizione dei suoi contenuti, essa conserva un aspetto a scacchiera in tutta la sua struttura.
Da una parte c’è un atteggiamento rigido rispetto i documenti conservati per cui si crede solo a ciò che si vede, nulla esiste se non ci sono pezze d’appoggio, se dei documenti di provata autenticità non ne avvalorino la sostanza. Poi, di contro si da somma importanza alle leggende che tutto sono tranne che delle certezze. Ma ciò che balza subito agli occhi è la forte componente illuministica. Il grande merito della massoneria è aver traghettato la civiltà occidentale fuori dall’oscurantismo e dall’assolutismo. Quando in Loggia si diceva che tutti gli uomini hanno i medesimi diritti, che la libertà è un diritto di ogni uomo, e che la fratellanza è l’unica possibilità di rapportarsi tra i popoli, all’esterno delle nostre sacre mura il potere costituito sosteneva che il re aveva potere di vita o di morte sui sudditi perché glielo conferiva Dio in persona. La religione negava ogni possibilità scientifica e perseguitava coloro che non erano allineati con l’ortodossia religiosa, ed il patibolo gettava la sua ombra sinistra. Quello che oggi è considerato assodato, non molti decenni fa era visto come pericoloso. Molti fratelli hanno dato la vita per affermare i diritti di ogni uomo libero. Ogni fratello massone non se ne rende conto, ma porta il testimone come in una staffetta verso le generazioni future, porta il testimone del libero pensiero. La storia oggi ha sbeffeggiato coloro che volevano tenere la società moderna incatenata in una visione talebana del mondo, ma questi passi in avanti sono stati fatti da persone, da massoni, non sono avvenuti spontaneamente.
La massoneria nasce, e ne siamo certi da congregazioni di artigiani che non sapevano leggere,
la massoneria è anche un percorso cavalleresco. I vertici dei riti e spesso la loro struttura sono cavallereschi, come parte della iniziazione è con i suoi rimandi costanti alla veglia d’armi che i cavalieri facevano prima dell’investitura.
I figli della vedova
Questo termine designa simbolicamente la Massoneria, i cui membri sono chiamati Figli della Vedova. Hiram, il leggendario antenato della Massoneria, era figlio di una vedova (I Re, 7, 14), il che spiegherebbe l’allusione. Ma essa sembra riferirsi soprattutto ad Iside, vedova di Osiride, cioè della luce, che parte alla ricerca delle membra sparse del suo sposo. Il Perfido Seth-Tifone, aveva ucciso Osiride e ne aveva sparso i pezzi per ogni angolo d’Egitto. Iside vaga per ogni dove per trovarne le membra e ricomporlo piano piano. Questa ricerca è anche quella del Massone, che si identifica con Horus, figlio di Iside e Osiride. Il radunamento delle membra sparse (di Osiride o di Purusha) corrisponde alla ricostituzione dell’unità primordiale.
Possiamo vedere anche allusioni al simbolismo della dea greca Era, anch’essa detta “la vedova”. Secondo alcuni dobbiamo vedervi anche riferimenti alla morte del Gran Maestro dei Templari, Jacques de Molay o, secondo Fabre d’Olivet, al simbolismo del “vav” ebraico. Il viaggio della Massoneria, rispetto alla tradizione templare, potrebbe tuttavia essere significativo sia dal punto di vista dottrinale sia dal punto di vista storico (Boucher J., La simbolica massonica, Roma, – Guénon R., I Simboli Fondamentali della scienza sacra, Milano, 1975).
Le agape e i brindisi
L’Agape o banchetto massonico, è una tradizione molto antica, viene menzionato nelle Costituzioni di Anderson. Già da allora le riunioni e le assemblee di Loggia si concludevano con un banchetto. Il Cavaliere di Ramsey si sbracciava ad associare i banchetti massonici attraverso l’analogia con le feste intrinseche ai Misteri antichi Greci ed Egizi.
L’agape fraterna che viene fatta seguire alla tornata è di solito abbastanza rapida e semplice, Alcune di queste però vengono dette formali e seguono un preciso rituale. Queste vengono presiedute dal Venerabile. La tavola è fatta ad arco di cerchio, o a ferro di cavallo. Nell’Agape è proibito parlare ad alta voce e fumare. Il servizio di tavola è effettuato dagli Apprendisti.
Il posto del venerabile è al vertice, e quello dei sorveglianti alle estremità. Il fratello oratore si pone in testa alla colonna di meridione, ed il fratello segretario alla testa di quella di settentrione; l’oriente è occupato dai fratelli visitatori, o da ufficiali della loggia, qualora non vi siano visitatori. Eccettuati i cinque ufficiali appena menzionati, nessuno ha un posto distinto.
Nella tradizione italiana anche i cibi sono rituali le carni usate ad esempio sono esclusivamente pollo ed agnello, sono inoltre ammesse uova, vari tipi di vegetali, pane non lievitato etc. si cerca di attenerci per quanto possibile alla tradizione salomonica. La cosa più importante però sono i brindisi.
Il Venerabile decide il momento di fare il primo brindisi, batte un colpo di maglietto ed immediatamente i fratelli apprendisti escono dall’interno del ferro di cavallo, e si ritirano all’occidente (ripetendo la stessa cosa in tutti i brindisi). Tutti smettono di mangiare. Il fratello Maestro delle Cerimonie, di solito, sta da solo all’interno del ferro di cavallo e di fronte al venerabile, per essere meglio in grado di ricevere i suoi ordini e di farli eseguire. Ciascun sorvegliante si assicura della qualità massonica di tutti gli individuiche stanno sulle due colonne, scorrendo lo sguardo su di essi e riconoscendoli per massoni. Il fratello Copritore Interno va a togliere la chiave della porta, che chiude; e da quel momento nessuno più entra od esce.
Un lato curioso di queste cerimonie deriva dal fatto che esse hanno conservato una consuetudine particolare che si ritiene derivato dalle tradizioni delle logge militari, dove si faceva uso di un lessico speciale. Non si usavano bicchieri ma tazze che venivano chiamate cannoni, le bottiglie e fiaschi venivano chiamate barili, ed il vino rosso e bianco rispettivamente polvere rossa e bianca. Il piatto era la tegola. Appena pronunciato il brindisi che si ascoltava in piedi ed all’ordine, tutti alzavano il bicchiere pronunciando ad alta voce la parola “fuoco”. Di tutto ciò nelle nostre Agapi rimane solo la consuetudine di bere dopo il brindisi dicendo “fuoco”.
La serie dei brindisi inizia col brindare al capo dello stato, poi al Gran Maestro, il terzo va al Venerabile della Loggia il quarto per i sorveglianti, il quinto, per i fratelli visitatori; il sesto, per i fratelli ufficiali e membri della loggia; il settimo ed ultimo, che viene detto il “brindisi del guardiano” ha una formula fissa che viene recitata in tutte le Logge del mondo, il testo è il seguente: A tutti i massoni poveri e afflitti dispersi per mare e per terra con l’augurio che possano trovare sollievo alle proprie pene e tornare presto nelle loro case se questo è il loro desiderio.
Il bastone del Maestro
L’iniziazione ha lo scopo di ottenere una “trasformazione”, unaIl bastone del Maestro delle Cerimonie è essenzialmente uno strumento di misura, un metro. Dovrebbe avere delle tacche per delle misure intermedie, la sua lunghezza è di 144 cm, il doppio di quello dei Diaconi, e la sezione è di 4×4.
Il bastone è anche considerato il simbolo del tutore, del maestro indispensabile nell’iniziazione. Servirsi del bastone per far camminare, non significa colpire ma appoggiarsi: il discepolo procede appoggiandosi ai consigli del maestro (Hampate Ba, Amadou, Kaydara, pubblicazione UNESCO).
Sostegno, difesa, guida, il bastone diventa scettro, simbolo di sovranità di potenza e di comando nel campo intellettuale e spirituale e nella gerarchia sociale. Il bastone, segno d’autorità e di comando in Grecia, non era riservato esclusivamente ai giudici e ai generali ma anche, come segno di dignità, a certi maestri dell’insegnamento superiore. Sappiamo che i professori che avevano il compito di spiegare i testi di Omero portavano un bastone rosso (colore riservato agli eroi) quando interpretavano l’Iliade e un bastone giallo (come segno dei viaggi eterei di Ulisse sul mare celeste) quando parlavano del Odissea.
Il bastone è il segno dell’autorità legittima affidata al capo eletto. Il mazziere nei tempi antichi era un capo eletto che nelle processioni portava il bastone o il gonfalone di una confraternita. Ricordiamo che il pastorale del vescovo, è la trasfigurazione del bastone del pastore.
Il simbolismo del bastone è pure collegato a quello del fuoco e quindi a quello della fertilità e della rigenerazione. Come la lancia e il pestello. Secondo una leggenda greca il fuoco è scaturito da un bastone. Sarebbe stato Ermes l’inventore del fuoco (pyreia), tranne quello che Prometeo portò dal cielo, sfregando l’un contro l’altro due bastoni, uno di legno duro e l’altro di legno dolce. Il fuoco terrestre sarebbe di una natura diversa, ctonia, da quella del fuoco celeste, uranico, rapito da Prometeo agli dei; questo sarebbe divenuto tellurico, secondo l’epiteto di Eschilo, per esser sceso dall’Olimpo degli immortali tra gli uomini di questa terra.
Questo fuoco della scintilla, del fulmine del lampo, è fertilizzante, fa piovere o scaturire le sorgenti sotterranee, Con un colpo di bastone su una roccia Mosè scopre una sorgente alla quale il popolo viene a dissetarsi.
Un sacerdote della dea Demetra percuoteva il suolo con un bastone, rituale destinato a provocare la fertilità o ad evocare le potenze sotterranee (Seckan L. e Leveque P., Le grandi divinità della Grecia, Parigi 1966, pag.136).
Una notte appare in sogno a Clitennestra lo spettro di Agamennone. Si dirige verso lo scettro di cui si è appropriato il suo assassino, Egisto. Lo afferra e lo pianta in terra come un bastone. Sempre in sogno Clitennestra, vede spuntare in cima un albero fiorito, «la cui ombra si allarga su tutta la regione dei Micenei») (Sofocle, Elettra 413-415). Questo bastone che rinverdisce e fiorisce annuncia il ritorno prossimo del figlio di Agamennone, il vendicatore, è il simbolo della vitalità dell’uomo, della rigenerazione e della risurrezione (Lanoe-Villene G. Il libro dei simboli, Parigi 1935, pag. 59).
Il triangolo
II simbolo dei triangolo è l’esaltazione del numero tre. Esso può essere pienamente espresso soltanto in funzione dei suoi rapporti con le altre figure geometriche.
Secondo Boezio (filosofo latino, Roma 480-524), che riprende le concezioni geometriche platoniche e che è studiato dagli autori romani, la prima superficie geometrica creata è il triangolo, la seconda il quadrato e la terza il pentagono. Ogni solido geometrico, -se vengono fatte partire dal suo centro delle linee verso gli angoli,- questi può essere diviso in tanti triangoli. Il triangolo è alla base della formazione della piramide. Il triangolo equilatero rappresenta la divinità, l’armonia, la proporzione. Poiché ogni generazione si produce per divisione, l’uomo corrisponde a un triangolo equilatero tagliato in due, cioè a un triangolo rettangolo. Questo, secondo l’opinione di Platone nel Timeo, è anche rappresentativo della terra. La trasformazione del triangolo equilatero in triangolo rettangolo si traduce con una perdita di equilibrio.
Fra le diverse figure geometriche, dopo il triangolo equilatero vengono il quadrato ed il pentagono. La stella a cinque punte diviene un pentagramma che designa l’armonia universale. Lo si ritrova spesso, poiché è impiegato come talismano contro le cattive influenze. Esso è la chiave della geometria ed è alla base della sezione aurea, chiamata anche proporzione divina. Il pentagono, che designa il mondo dei piani, evolve al dodecaedro che rappresenta il mondo dei volumi e che corrisponde ai dodici segni zodiacali. A ciascun segno primario, (esaedro, tetraedro, dodecaedro) corrisponde un proprio piano: al cubo, il quadrato; alla piramide, il triangolo; al dodecaedro, il pentagono. Le corrispondenze fra i numeri e le figure geometriche sono assolute, tanto che l’uomo risulta da un gioco di contrari, non può avere il significato del cerchio, che rappresenta l’unità e la perfezione. Tutto gli sfugge: il triangolo, il quadrato, la stella a cinque punte e il sigillo di Salomone a sei strisce. Se l’uomo non è nato allo spirito, queste figure geometriche mantengono segreti i loro simboli, che corrispondono ai numeri 3, 4, 5, 6. Il dodecaedro diviene accessibile soltanto nell’ordine della perfezione.
Le affinità fra quadrato e rettangolo nella costruzione sono state a lungo studiate. I triangoli e i rettangoli giocano un ruolo importante; da cui il significato della squadra nell’arte della costruzione. Nella tradizione dei tagliatori di pietre, in riferimento agli angoli e i rettangoli, viene detto che l’essenziale è trovare il centro, definire il punto, per restituire la proporzionale, che ci permette di avere un senso esatto del dato esteriore e del dato interiore. La reciprocità è sempre fondamentale. Se esaminiamo le cattedrali gotiche, appare innegabile che la disposizione architettonica della facciata è il riflesso di una disposizione interiore. Lo stesso dicasi per la struttura delle chiese romaniche fedeli alla tradizione. Tali esempi mostrano come, nel XII secolo, la scultura e la pittura non fossero distinte dagli altri aspetti della vita spirituale (Davy M., Iniziazione alla simbolica romana, Parigi 1964 pag. 201-203, Funck-Hellet C., De la proportion Parigi 1951, pag. 114).
Oltre alla sua importanza ben nota nel Pitagorismo, il triangolo è nell’alchimia il simbolo del fuoco e anche del cuore. Occorre inoltre considerare i rapporti fra il triangolo dritto e il triangolo rovesciato, essendo il secondo il riflesso del primo: si tratta dei rispettivi simboli della Natura divina del Cristo e della sua natura umana; sono anche quelli della montagna e della caverna. I triangoli sovrapposti raffigurano: Purusha e Prakriti, Shiva e la Shakti, il linga e la yoni, il fuoco e l’acqua. Le tendenze satwa e tamas. Come simbolo di conoscenza ed oscurità. Il loro equilibrio, sotto la forma dell’esagono stellato è rajas, che rappresenta “l’azione” l’espansione sul piano della manifestazione. (Danielou J. Il mistero dell’avvento, Brescia 1966./ Eliade M. Forgerons et Alchimistes, Parigi 1966./ Granet M. Danses et legends de la Chine ancienne, Parigi 1926./ Guenon R. L’esoterismo di Dante, I simboli fondamentali della scienza sacra, Ed. Mediterranee Roma).
È nota l’importanza attribuita al triangolo nella nostra istituzione, che viene anche chiamato il Delta luminoso. Il triangolo sublime è quello la cui vetta è di 36° e i due angoli di base di 72°. Ogni triangolo corrisponderebbe ad un elemento: l’equilatero alla terra, il rettangolo all’acqua, lo scaleno all’aria, l’isoscele al fuoco. Ai triangoli sono legate numerose speculazioni: sui poliedri regolari, che derivano dagli equilateri; sulle innumerevoli triadi della storia religiosa; sui trittici della moralità ben pensare, ben dire, ben fare; sulla saggezza, forza, bellezza, etc., sulle fasi del tempo e della vita, passato, presente, futuro; nascita, maturità, morte; sui tre principi di base dell’alchimia, sale, zolfo e mercurio ecc. Tali enumerazioni conducono facilmente dal simbolismo allo stereotipo. Il triangolo massonico rappresenta alla sua base la Durata e, sui lati che si ricongiungono alla vetta, Tenebre e Luce; il che comporrebbe il ternario Cosmico. Quanto al delta luminoso della tradizione, esso sarebbe un triangolo isoscele dalla base più larga di ciascun lato, come il frontone di un tempio: con 108° in cima e 36° per ogni lato della base: un tale triangolo corrisponderebbe al numero d’oro. Inoltre in questo triangolo si iscriverebbero perfettamente la stella fiammeggiante e il pentagono (Boucher J. La simbolica massonica, Roma 1979, pag.86-94).
La corda con le nappe
Essa allude alla catena che unisce tutti i fratelli e che essi stessi rappresentano formando un cerchio e tenendosi per mano. La catena dell’unione ci appare essenzialmente come il simbolo della solidarietà umana, o meglio ancora come di una riconciliazione universale. Quando la corda annodata viene disposta in cerchio, ed ha dodici nodi, essa racchiude il tutto, perché per tradizione il tutto è diviso in dodici parti. La corda o cordone con le nappe che circonda il tempio ha la stessa funzione che aveva il cartiglio nei geroglifici egizi. Il cartiglio è quella cornicetta di forma ovale allungata, che nei geroglifici circonda il nome dei personaggi, si vede distintamente che è una cordicella chiusa da due nappe. Il cartiglio ha varie funzioni, principalmente quella di protezione dalle influenze esterne, sia come simbolo in piccolo che come simbolo in grande, Esso fa anche riferimento al mitico ”Uroboros”, raffigurato come gigantesco serpente che si morde la coda e separa il mondo dal caos. Quindi l’ambiente circoscritto dalla corda è una rappresentazione del cosmo protetto dal suo guardiano, l’esistente separato dal non esistente. Tale è l’idea della loggia, un luogo luminoso e reale circondato da una profanità oscura e irreale. Per dirla in maniera ancora più immediata, la corda con le nappe è come il cerchio magico che protegge il mago durante la cerimonia di magia rituale dalle influenze negative.
Il Sole e la Luna
Il sole e la luna significano molte cose: prima di tutto sono simbolo di Iside e Osiride, del principio maschile e femminile. La Luna simboleggia la vita soggetta al divenire, e contemporaneamente è simbolo di tutte le divinità ctonie. Il sole invece rappresenta tutte le forze e le divinità della luce, è un simbolo assoluto in quanto può essere sia benefico che distruttore (siccità, arsura, desertificazione). I due luminari sono entrambi simboli dello scorrere del tempo. Nella tavola di smeraldo si dice “Il sole ne è il padre, la Luna la madre”. Naturalmente si parla del Mercurio ermafrodito, la materia prima e la conclusione dell’opera alchemica, che è il cinabro, la droga dell’immortalità che ringiovanisce il corpo e lo rende luminoso come il sole. Simbolo della nascita e della rigenerazione perpetua, come la Fenice. Nel Tantrismo Shiva e Shakti corrispondono a sole e luna, e tutte le operazioni mirano allo stesso scopo, unendo la due divinità con la loro energia dinamica. Ma il simbolo principale che dobbiamo cogliere è che trovandoci davanti i due luminari, noi dobbiamo conciliare i due opposti combinando ciò che cresce con ciò che cala. Conciliando i due principi, ovvero unendo gli opposti, noi otteniamo l’attimo immobile al di fuori del tempo e dello spazio, quella condizione che esisteva prima dell’universo dove è pura coscienza cosmica.
le due colonne e...
Al centro della tavola di loggia ci sono due colonne. Quella di sinistra(entrando) è in stile Dorico, su cui è incisa la lettera B, sormontata dal globo terrestre. Quella di destra (entrando) è in stile Corinzio e su di essa è incisa la lettera J, alla sua sommità ci sono tre melagrane.
La pietra grezza rappresenta la materia prima del nostro essere e la pietra lavorata é quello che otteniamo lavorando su noi stessi con pazienza diligenza e silenzio, imparando a dominare noi stessi ed esercitando la virtù dell’auto-controllo con noi stessi e con gli altri.
I sette nodi
I nodi sono un simbolo importante della interiorità spirituale, essi infatti fanno riferimento ai sette templi interiori. Di cui parla San Giovanni nell’Apocalisse, che lo ricordiamo significa semplicemente “Rivelazione” ed ha molto poco a che vedere con la fine dei giorni. L’apostolo descrive nella sua visione cosmogonica, l’essenza stessa dell’uomo e della creazione. E’ in questo viaggio alla conoscenza dell’uomo interiore che nominate sette chiese, sette candelabri d’oro cioè i sette centri spinali, i “chakras” della tradizione orientale. Il Cristo tiene in mano sette stelle (Apocalisse 1,16-20; 2,1; 3,1). Esse rappresentano le sette fasi dell’evoluzione spirituale dell’uomo. Sono anche rappresentati i sette gradi intermedi che sono collocati tra le due colonne.
Il Quadro di loggia
Il “quadro di loggia” è quel quadro che viene scoperto nel momento in cui si aprono i lavori e viene chiamato anche tavola di tracciamento e cambia a seconda del grado in cui si lavora. Oggi noi abbiamo il quadro già fatto, ma anticamente esso veniva disegnato di volta in volta, e distrutto alla fine dei lavori, come fanno ancora oggi i monaci nel Tibet con i “Mandala”, che vengono disegnati secondo un complesso rituale con polveri colorate ed un’operazione che a volte può richiedere mesi e poi viene cancellato immediatamente dopo averlo finito. Nella tavola di loggia sono raccolti grandi segreti, perché essa è un “Emblema” cioè un insieme, una costellazione di simboli che serve ad indurre nell’adepto uno stato d’animo particolare che gli permette di acquisire in maniera “pre-logica” ed immediata una serie di idee, sperimentandole non razionalmente ma con tutto il proprio essere. Deve realizzare, insomma, una specie di “Satori” come direbbero coloro che praticano lo Zen o una illuminazione sulla strada di Damasco come direbbero i cristiani. Nella tavola di loggia c’è la quintessenza del rituale.
Prendiamo dunque il quadro di loggia di primo grado. Osserviamolo, cosa troviamo davanti a noi? Vediamo una corda con sette nodi, poi il sole e la luna.
Grembiule e Guanti
Il nuovo fratello verrà cinto dal grembiule, che per tradizione è bianco e di pelle d’agnello.
La forma geometrica del grembiule è a cinque lati ed è la sovrapposizione di un triangolo ed un quadrato, quantomeno in grado di apprendista dove la bavetta è alzata. Esso simboleggia il quaternario della materia sormontato dal triangolo dello spirito. La bavetta è alzata perché nel primo grado, ci si eleva dalla materia allo spirito. Nelle fasi successive la bavetta verrà abbassata, perché lo spirito dovrà permeare la materia.
Guardando a destra del cuscino, ai piedi dell’Ara, è possibile vedere la manifestazione tridimensionale del grembiule dell’Apprendista, la piramide ed il cubo che sono la pietra lavorata, enucleata dalla materia informe, della pietra grezza.
Rivestire il candidato con grembiule bianco è la trasposizione del rivestirlo di una candida tunica. Il colore bianco è per eccellenza il colore della ritualità. L’uomo vecchio viene gettato via, simboleggiato dai suoi abiti, ed il nuovo brilla per il suo candore. Gli iniziati durante la cerimonia nelle varie epoche sono sempre stati rivestiti di bianco.
Varie sono le tradizioni che fanno riferimento a questa consuetudine. Vogliamo citare quella che gli egizi chiamavano “Etangi” termine che significa anch’esso “tunica bianca”. Nei misteri di Iside al termine delle prove che portavano ad accedere nella parte interna del Tempio, prima della prova finale, al candidato veniva consegnata la veste dal sublime venerabile che dirigeva insieme ai nove patriarchi.
I Guanti
I guanti in loggia sono simbolo di purezza essi sono rigorosamente bianchi, per indicare che le mani del fratello sono immacolate. C’è da dire che anticamente, chi officiava delle cerimonie religiose doveva indossare i guanti bianchi, che erano probabilmente un complemento della sacralità. Nelle tradizioni antiche tra cui anche quella ebraica, gli oggetti sacri non potevano essere toccati da mani impure, i sacerdoti prima di entrare nei luoghi sacri dovevano purificarsi, i guanti permettono di maneggiare il sacro senza incorrere in accidenti. Nella tradizione biblica coloro che toccano con mani impure l’Arca dell’Alleanza anche solo per sorreggerla sono destinati a morire. Valgono quindi come conferma permanente della sacralità. I guanti in massoneria sono un simbolo ma anche un oggetto rituale, ricevuti il giorno dell’iniziazione, serviranno a rammentare per sempre sia quel momento che gli impegni presi.
Dalle prime decadi del 1700 venne introdotto un nuovo costume, si comincia a donare al fratello appena iniziato un paio di guanti da donna, e viene indicato che questo paio deve essere donato ad una donna degna della stima del nuovo iniziato. Traspare qui la componente cavalleresca dell’iniziazione massonica. Ogni iniziato deve avere il suo doppio femminile, la sua anima mundi, la sua Beatrice, la musa ispiratrice il suo dicotomico Anima-Animus. La spiritualizzazione dell’uomo passa attraverso la reintegrazione dell’essere.
Il dono dei guanti non deve essere fatto in maniera affrettata, il nostro doppio lunare deve essere accuratamente scelto.
La Luce
Nel linguaggio e nei rituali massonici ricevere la luce è essere ammessi all’iniziazione. Dopo aver partecipato al rito, con gli occhi bendati, e aver prestato giuramento, il neofita con gli occhi finalmente scoperti è abbagliato dal chiarore della luce improvvisa, egli riceve la luce materiale, vicaria di quella animica. Tutti i membri della Loggia dirigono verso di lui la punta della loro spada. La Luce è data dal Venerabile per mezzo della spada fiammeggiante, simbolo ben noto del “Verbo”. Dare la luce è un rito che si celebra all’apertura di una seduta: il Venerabile è il solo a tenere un lucignolo acceso. Egli dà la luce ai due sorveglianti e con questo ognuno accende il cero posto sul pilastro. Infine, quando è introdotto un dignitario massonico, il Maestro delle cerimonie lo dovrebbe precedere portando una stella che rappresenta la luce che il visitatore dona alla Loggia (Servier J., L’uomo invisibile Milano 1972 ) Questa luce, alla quale si riferiscono così spesso i riti, non è altro che la conoscenza trasfigurante che i massoni hanno il dovere di acquisire.
La celebre Tavola di smeraldo, attribuita a Ermete Trismegisto, ma scritta probabilmente da Apollonio di Tiana che per secoli fu considerata come la “tavola della legge” dagli alchimisti e dagli ermetisti, evoca in questi termini la creazione del mondo: «La prima cosa che apparve fu la luce della parola di Dio. Essa generò l’azione, dall’azione al movimento e da questo al calore». Per Jacob Boehme la luce trae origine nel fuoco, ma «il fuoco è doloroso mentre la luce è amabile, dolce e feconda.» (Mysterium Magnum, 5,1). Questa Luce Divina che Jacob Boehme associa a Venere è il risveglio del desiderio e dell’amore realizzato dopo che l’essere ha subito la purificazione del fuoco. Questa luce contiene la rivelazione perché «nella luce vi è un Dio misericordioso e buono e nella forza della Luce, egli si chiama, prima di ogni altra proprietà: Dio, ed è perciò Il Dio Rivelato» (Mysterium Magnum, 2,10).
Questa accezione mistica, la glorificazione della luce, è totale. Essa diviene un’Epifania (apparizione) in cui la qualità sensibile è così forte che senza avere bisogno di incarnarsi in una forma, Dio vi si rivela, la fa Manifestazione in opposizione alle Tenebre.
La luce è amore, perché la luce sì libera del fuoco, così come il desiderio di amore si libera della volontà di Dio. Notiamo che nei primi secoli della Chiesa il battesimo si chiamava “Illuminazione” così come testimonia in particolare l’opera dello Pseudo Dionigi Aeropagita.
Nei “Rotoli del Mar Morto”, rinvenuti a Qumrán, che era sede una comunità essenica, si parla della guerra dei Figli della Luce contro i Figli delle Tenebre. Gli eletti, predestinati ad appartenere alla luce, e gli altri la cui patria sono le tenebre.
Tutta la storia del mondo e degli uomini è vista da allora come il campo chiuso in cui si affrontano gli eserciti dei due capi supremi: il Dio della luce e Satana (o Belial, Mastema…) principe delle tenebre.
Nel Vangelo di Giovanni, è evidente una simile concezione, accuratamente cristianizzata. Non si parla forse della luce che le tenebre non possono, né vogliono ricevere? (Giovanni 1, 4-5, 10). La gnosi allargò il campo strettamente morale di questo simbolismo speculando sull’antagonismo di una luce celeste primordiale e di una potenza sovrannaturale delle tenebre. Il mondo sensibile è un’impostura delle tenebre che cercano di rapire la luce ma non possono che imprigionarne dei riflessi nella materia. Per questo, gli eletti, quelli nei quali risiede una scintilla della luce divina, devono mettere in opera ogni cosa per respingere e annullare l’impresa del corpo, al fine così di ritrovare la loro vera natura essenzialmente divina e luminosa.
La luce è il simbolo patristico del mondo celeste e dell’eternità. Le anime, separate dal corpo, saranno secondo San Bernardo di Chiaravalle, sprofondate in un oceano immenso di luce eterna e di eternità luminosa. Il polo della luce è mezzogiorno, che è, in senso simbolico, «l’istante immobile,… l’ora dell’ispirazione divina… l’intensità luminosa del cospetto di Dio»,(Davy M., Trattato della vita solitaria, Parigi 1946, pag. 52,160).
Il senso simbolico della luce è nato dalla contemplazione della natura. La Persia, l’Egitto, tutte le mitologie antiche hanno attribuito una natura luminosa alla divinità. Tutta l’antichità rende questa stessa testimonianza: Platone, gli stoici, gli alessandrini e anche gli gnostici. Anche Sant’Agostino rielabora le influenze neoplatoniche concernenti la bellezza della luce. La Bibbia ne segnalava già la grandezza. Il Verbo non è detto anche lumen de lumine? La luce è Dio (vedi la prima Epistola di san Giovanni).
Il neofita con gli occhi finalmente scoperti è abbagliato dal chiarore della luce improvvisa, simbolo della “altra luce”. Scrive Saint Martin: “La luce del vero sole deve essere percepita senza rifrazione, cioè senza intermediario deformante, ma per intuizione diretta: tale è il carattere dell’illuminazione iniziatica. Questa conoscenza immediata, che è come la luce solare si contrappone alla luce lunare che, essendo riflessa, raffigura la conoscenza discorsiva e razionale”.
Inoltre la posizione dell’apprendista, nell’angolo nord-est della loggia, è fortemente simbolica. Essa infatti è la posizione meno illuminata, ma è anche la posizione del sole prima di sorgere essa allude alla grande potenzialità in cui si trova l’iniziato.
Per il massone, l’esperienza iniziatica della luce si presenta sotto il duplice aspetto che riguarda insieme, sia una presa di coscienza progressiva del mondo che lo circonda, -nella quale egli comincia a discernere la sua parte di illusione- Sia in quello di un improvviso sconvolgimento dell’essere che opera così una conversione. E’ facendolo uscire da un universo profano e da una situazione storica condizionata per metterlo in cerca della verità e della luce dello spirito, di cui è il portatore. Il neofita sincero e ricettivo riceve al momento dell’iniziazione quella luce che produce in lui una frattura con il suo vissuto interiore, e gli svela o gli rivela più chiaramente di prima, il mondo sacro della libertà e dello spirito.
Gli Elementi
Il candidato sperimenta durante l’iniziazione i quattro elementi. I viaggi simbolici che metaforicamente percorrono i quattro angoli dell’Universo si svolgono nello spazio della Loggia che dell’universo è l’immagine vicaria. Il candidato compie un viaggio dalla terra al cielo, dall’ignoranza alla conoscenza. Egli ha abbandonato il mondo limitato in cui si trovava per prendere coscienza dell’universo. Come abbiamo già detto il viaggio comporta uno spostamento, ma il vero viaggio è interiore. Viaggiamo dalla periferia verso il centro di noi stessi, verso il nostro cuore interiore, per accedere al tempio della saggezza. Dicevamo che il viaggio comincia dall’elemento terra nel quale si trova inizialmente il candidato.
Quello sperimentato nel gabinetto di riflessione.
Il primo elemento che il candidato incontra nel suo peregrinare all’interno del Tempio è l’elemento acqua, Il candidato bendato, ode una serie di rumori collegati con questo elemento, i membri della loggia poi fanno il massimo rumore possibile, oltre a disseminare di insidie il cammino del candidato, una tavola basculante gli da l’impressione del saliscendi. Questo è un viaggio di purificazione, e termina con l’immersione della mano e dell’avambraccio del candidato in una bacinella d’acqua, non potendo farlo con tutto il corpo del candidato, come veniva fatto nelle iniziazione pitagorea ed essenica. La simbologia è quella della rinascita permanente. Questo è l’insegnamento della presa di coscienza di sé e del cosmo. Questa condizione corrisponde al piano mentale e lunare.
Il secondo elemento che si incontra nel viaggio è l’elemento aria. Il candidato viene spinto in viaggio più calmo più fluido aria, il rumore di tuono e la folgore sono simboli dell’aria e manifestazione della discesa delle influenze spirituali. Già il colpo del maglietto del venerabile è una manifestazione della folgore. In condizione materiale di oscurità, viene colpito soffi d’aria da ogni parte. Il cammino del candidato è incerto e zigzagato come il fulmine. Questa condizione nella tradizione spirituale corrisponde al piano intermedio quello delle idee, della psiche al mondo astrale.
Il terzo viaggio è quella dell’elemento fuoco, quello dell’ultima purificazione. Il fuoco consuma l’uomo vecchio e dalla cenere nascerà l’uomo nuovo, proprio come la fenice. Al candidato viene passata la mano destra sul fuoco di un braciere o di una candela. Facendogli percepire il calore che brucia. È attraverso il fuoco che il massone brucia le scorie del suo ego. Questa fase corrisponde al piano causale quello della struttura dell’io ciò che impedisce all’iniziato di percepire la sua sostanziale unità con l’assoluto. E’ superando quest’ultima barriera che si raggiunge la “meta”. Questo elemento che è il quinto viene solo alluso perchè non è spiegabile concettualmente.
Calice e la bevanda...
L’amaro calice è probabilmente un simbolo che arriva tardi nel rituale probabilmente mutuato dal Rito scozzese rettificato, esso infatti non è presente nelle tradizioni cavalleresche.
Il giuramento che viene suggellato due volte mima con la bevanda dolce e poi con quella amara rappresenta il perenne dualismo della vita e della iniziazione. Essa rappresenta il cuore del candidato, colmo di cose dolci ed amare. Bevendo nella coppa, il candidato che non ha ancora superato la prova degli elementi, dichiara che andrà avanti nella cerimonia, da questo momento non potrà tornare indietro. Bere in una coppa è il momento fondamentale dell’iniziazione misterica fin dall’antichità, inizialmente però la bevanda era solo dolce. La ritroviamo nella tradizione indiana-vedica e vedantica, in quella dei Parsi, e in quelle buddistiche più antiche. E’ presente anche in quella alchemica-rosacrociana. La bevanda dolce che viene consumata ha spesso un rituale complesso di preparazione, essa in questo caso rappresenta la bevanda dell’immortalità, il “Soma” concetto presente anche presso gli antichi greci. È dopo questa fase che il candidato ha l’esperienza dei quattro elementi e delle divinità infere e supreme, come ci racconta Apuleio. Ma tornando alla tradizione massonica ed in quella ermetica, l’amaro calice fa da spartiacque tra le piccole e le grandi prove, tra i piccoli e i grandi misteri. Un altro simbolo che fa da specchio al precedente “le melagrane” presenti sulle colonne, essendo queste visibili solo dopo aver tolto la benda quindi dopo aver superato le prove e le iniziazioni. In questo caso esse rappresentano una bevanda che al contrario della prima è prima amara (la buccia) e poi dolce.
I tre candelabri
Al centro del Tempio, sul pavimento a scacchi, sono disposti tre grossi candelabri disposti a triangolo.
Il rituale ci dice che sono le luci della saggezza, della bellezza, e della forza. Queste sono le tre essenze che ispirano la Loggia.
Questi sono il simbolo della luce spirituale, del seme della vita e della salvezza.
In tutti i testi sacri dell’antichità si parla di oggetti simili. Nella Bibbia quando si descrive la costruzione del Tempio di Salomone, è il re stesso che da le indicazioni per la loro manifattura, anch’esse pregne di simbolismo (Esodo, 25, 31-33, 37-40).
Nei primi secoli del cristianesimo il candelabro indicava «il sole sulla quadriga, con l’aureola di sette raggi, circondato dai dodici segni dello Zodiaco e riecheggiato agli angoli dalle figure delle stagioni ( Daniélou Jean, Symbolisme cosmique et mouvements religieux, Musée Guimet, Parigi 1953, p. 63).
Nelle tradizioni celtiche, “candelabro del valore” è un’espressione usuale per indicare un guerriero valoroso; la metafora si basa evidentemente in senso figurato sullo splendore che egli emana. Analogamente, la lancia di un grande guerriero viene a volte paragonata a un candelabro regale (Windisch E., Testi irlandesi, Lipsia 1905 pag. 5, 373).
Le candele
In Loggia sono presenti tutta una serie di candele.
Il simbolismo della candela è legato a quello della fiamma. «Nella fiamma di una candela sono attive tutte le forze della natura» diceva Novalis. (scrittore e poeta romantico tedesco a lui si deve la rilettura di Plotino e del neoplatonismo, fece parte del movimento premassonico del “Pietismo”) La cera, lo stoppino, il fuoco e l’aria che si uniscono nella fiamma ardente, mobile e colorata sono una sintesi di tutti gli elementi della natura, che permangono individualizzati nella fiamma singola. La candela accesa è come il simbolo dell’individuazione, al termine della vita cosmica, che si concentra in essa. «Nel ricord della buona candela dobbiamo ritrovare i nostri sogni di solitari, -scrive Bachelard – la fiamma è sola, naturalmente sola, vuole restare sola» (Bachelard G., La flamme d’une chandelle, Parigi 1961 pag. 36).
All’idea di unicità, di luce personale, Bachelard aggiunge quella di verticalità. «La fiamma della candela sul tavolo del solitario -scrive-, fomenta le fantasticherie della verticalità. La fiamma è una verticale vigorosa e fragile. Un alito disturba la fiamma, ma la fiamma si raddrizza. Una forza ascensionale la reintegra nel suo prestigio.» (Bachelard G., La flamme d’une chandelle, Parigi 1961 pag. 57-58).
La candela è Simbolo della vita ascendente.
Analogamente le candele che ardono accanto al defunto – i ceri accesi – sono il simbolo della luce dell’anima nella sua forza ascensionale, della purezza della fiamma spirituale che sale verso il cielo, la perennità della vita personale che è giunta allo zenith.
Il libro Sacro
Il libro della legge sacra è disposto al centro della loggia, orientato verso oriente. Il libro è riferito all’orientamento religioso dei componenti della loggia, da noi di solito è il vangelo di San Giovanni, ma se vi fossero presenti di altre religioni dovrebbe essere aperto il libro sacro corrispondente alle varie religioni presenti, ad esempio l’Avesta per i Parsi, il Corano per i mussulmani o la Gita per gli induisti.
È ovvio che il libro è il simbolo della scienza e della saggezza sia, nella visione spirituale che nell’immagine occidentale.
Il libro è soprattutto – se ci eleviamo di un grado-, il simbolo dell’universo: «L’Universo è un immenso libro», scrive Muhiddin Ibn Al Arabi. L’espressione Liber Mundi appartiene ai Rosacroce, ma il Libro della Vita dell’Apocalisse è al centro del Paradiso dove si identifica con l’Albero della Vita: le foglie dell’albero come i caratteri del libro rappresentano la totalità degli esseri, ma anche la totalità dei decreti divini.
C’erano, nella Roma antica, dei libri detti “sibillini” che venivano consultati dai romani nelle situazioni eccezionali: in questi pensavano vi fossero le risposte divine ai loro problemi e le indicazioni sul che fare. In Egitto c’era un libro detto “il Libro dei Morti” questi era una raccolta di formule sacre, colmo di formule magiche e di preghiere, nonché di trucchi e giustificazioni, che venivano poste sulle bende dei defunti, e collocati nella tomba per aiutarli in occasione del giudizio e per implorare gli dei di favorirne la traversata degli Inferi e l’arrivo alla luce del sole eterno. Trovare insomma la «Formula per uscire alla luce.» In ogni caso il libro appare come il simbolo del segreto divino che non è confidato se non all’iniziato.
Se l’universo è un libro, il libro è la Rivelazione e per estensione, la manifestazione. Il Liber Mundi è nello stesso tempo il Messaggio divino, l’archetipo di cui i diversi Libri rivelati non sono che delle specificazioni, delle traduzioni in un linguaggio intelligibile. L’esoterismo islamico distingue talvolta tra un aspetto macrocosmico e un aspetto microcosmico del libro e stabilisce tra i due una lista di corrispondenze: il primo è il Liber Mundi, la manifestazione che discende dal suo Principio, l’intelligenza cosmica; il secondo è nel cuore, è l’intelligenza individuale.
Il Libro sacro, in certe versioni della Ricerca del Graal, viene identificato o abbinato alla coppa. Il simbolismo è allora molto chiaro: la ricerca del Graal è quella della Parola perduta, della Saggezza suprema divenuta inaccessibile all’uomo comune (Corbin H. Trilogie ismaélienne, Paris 1961, – Guenon R. Il re del mondo, Roma, – Guenon R. Il simbolismo della croce milano,- Guenon R., I simboli fondamentali della scienza sacra, Milano 1975, – Schoun F. l’Oeil du coeur Paris 1950).
Un libro chiuso vuol significare la materia vergine. Mentre se aperto, la materia fecondata. Chiuso il libro conserva il suo segreto, mentre aperto, il contenuto è afferrato da colui che lo scruta. Il cuore che viene paragonato a un libro: aperto esso offre i suoi pensieri e i suoi sentimenti, chiuso, invece li nasconde. Per gli alchimisti «l’Opera è espressa simbolicamente da un libro, ora aperto ora chiuso, a seconda che la materia prima sia stata lavorata o soltanto estratta dalla miniera. Quando il libro è rappresentato come chiuso – indicando la sostanza minerale bruta – non è raro vederlo sigillato da sette fasce.Questi sono i segni delle sette operazioni successive che permettono di aprirlo, rompendo in ciascuna, uno dei sigilli. Tale è il Grande Libro della Natura che racchiude nelle sue pagine la rivelazione delle scienze profane e quella dei misteri sacri» (Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, pag.193, ed Mediterranee Roma).
Maglietto del Venerabile
Benché le tre luci abbiano ognuno un maglietto, la simbologia è riferita soltanto a quello del Venerabile.
Secondo la simbologia massonica «il maglietto è il simbolo dell’intelligenza che agisce e persevera; essa dirige il pensiero e anima la meditazione dell’uomo che, nel silenzio della coscienza, cerca la verità. In questa prospettiva, è inseparabile dallo Scalpello che rappresenta il discernimento, senza l’intervento del quale lo sforzo sarebbe vano, se non pericoloso». Il maglietto «raffigura anche la volontà che esegue: è l’insegna del comando impugnato dalla mano destra, il lato attivo, che si collega all’energia agente e alla determinazione morale da cui deriva la realizzazione pratica» (Boucher Jules, La simbologia massonica, Roma, pag. 11). E’ il simbolo dell’autorità del Maestro nel corso delle sedute massoniche.
Diversa è la simbologia del maglietto che colpisce, questo è simbolo della folgore e del fuoco. Ed indica la potenza divina, destinata a spezzare e a sciogliere gli ostacoli alla sua manifestazione.
Il martello-maglietto è anche l’utensile di Efesto (Vulcano) il dio zoppo della forgia. Assimilato al “Vajra”, il fulmine, esso è sia creatore sia distruttore, strumento di vita e di morte. Simbolo di Efesto e dell’iniziazione cabirica (metallurgia), il martello rappresenta l’attività formatrice o demiurgica. Quando colpisce lo scalpello, il mazzuolo indica il metodo, la volontà spirituale che mette in moto la facoltà conoscitiva, ritaglia idee e concetti e stimola la conoscenza precisa. In certe società, il martello forgiato ritualmente è efficace contro il male, gli avversari, i ladri, svolgendo così un ruolo di protezione attiva e magica. Nell’iconografia indù, almeno quando è attribuito a Ghantákarma, è anche distruttore del male (Burckhard T. Art and Thougt, London 1947, – Devoucoux Mgr., Etudes d’Archeologie traditionnelles Paris 1957, – Eliade M. Forgerons et alchimistes Paris 1956, -Mallmann M.T. De les enseignement iconographiques de l’Agni Purana, Paris 1963).
Squadra&Compasso
Nell’ambito di un linguaggio iconografico convenzionale, il compasso è stato da noi considerato l’emblema delle scienze esatte, del rigore matematico, di fronte alla fantasia immaginativa, alla poesia. La nozione di regola, e di rettitudine, è d’altra parte alla base dell’ideogramma cinese “kuei”.
Tanto nell’esoterismo occidentale che nell’antica Cina, il compasso – generalmente associato alla squadra- è un importante simbolo cosmologico: esso serve a misurare e a tracciare il cerchio, mentre la squadra serve a tracciare il quadrato. Dicono i filosofi della scuola dei legisti: «Nella squadra e nel compasso si trova la perfezione del quadrato e del cerchio».
Un disegno di William Blake, intitolato “il Vecchio dei Giorni misura il tempo”, rappresenta un vecchio nel disco solare, che tende verso il mondo un immenso compasso. Coomaraswamy e Guénon hanno accostato questo simbolo alla misura o determinazione dei limiti del Cielo e della Terra, di cui parla il Veda, e hanno evocato il ruolo dell’architetto celeste Vishvakarma, come anche quello dei Grande Architetto dell’Universo massonico.
Il compasso rappresenta la ragione, la logica, la materia, la disciplina, l’ordine, la rettitudine; la squadra a braccia uguali rappresenta l’equilibrio tra la verticale e l’orizzonte, la squadra a braccia disuguali, detta pitagorica, rappresenta la possibilità di armonizzare la proporzioni.
Dante ha cantato il Dio Architetto: «Colui che volse il sesto / allo stremo del mondo, e dentro ad esso / distinse tanto occulto e manifesto» (Dante:Paradiso, 19, 40-42).
Il compasso è stato interpretato come l’immagine del pensiero che disegna o percorre i cerchi del mondo; tracciando le immagini del movimento ed essendo mobile esso stesso, il compasso è diventato il simbolo dei dinamismo costruttore, l’attributo delle attività creatrici.
In Occidente come in Cina, il compasso e la squadra evocano rispettivamente il Cielo e la Terra. Il Maestro massone, posto «fra la squadra e il compasso», svolge un ruolo di mediatore simile a quello dello ieri taoista. In Occidente, il compasso e la squadra sono attribuiti rispettivamente alle due metà – maschile e femminile – dell’Androgino ermetico (Rebis), corrispondenti al Sole e alla Luna; in Cina, li si attribuisce a Fu-hsi e Niú-kua, che sono i principi maschile e femminile della manifestazione. Tuttavia, quando Fu-hsi e Niú-kua sono uniti, i rispettivi attributi si invertono o, più esattamente, sono scambiati. E la raffigurazione della ierogamia, la sintesi ricostituita dello yin e dello yang, in cui la figura yang porta l’attributo yin e viceversa, allo stesso modo che nella rappresentazione del T’ai-chi, la metà yang include un punto yin e la metà yin un punto yang.
Più prosaicamente, l’espressione compasso e squadra (kuei-chin) indica i buoni costumi e il giusto ordine, ne fa l’armonia complementare delle influenze celesti e terrene.
Notiamo anche che, conformemente al simbolismo del cerchio e del quadrato, il compasso è più specificamente in rapporto con la determinazione del tempo, la squadra con quella dello spazio, indicato in Cina dal carattere kin, antica squadra usata per le misure spaziali.
Il compasso e la squadra sono stati, durante il Medioevo, gli emblemi di molte corporazioni. La Corporazione, ha notato Guénon, impediva di portare il compasso solo ai calzolai e ai fornai. Tutte le altre avevano nel loro stemma, la squadra ed il compasso. (Granet M., Danses et légendes de la Chine ancienne, Paris 1926).
L’angolo di 90° riproduce la squadra, ma noi sappiamo che la squadra è il simbolo della materia, il compasso è il simbolo dello spirito e del suo potere sulla materia. Il compasso aperto a 45° indica che la materia non è completamente dominata, mentre l’apertura a 90° realizza integralmente l’equilibrio fra le due forze. Il compasso diventa squadra giusta» (Boucher Jules, La simbologia massonica, Roma,).
Le posizioni relative del compasso e della squadra manifestano così i diversi stati nei quali si trova l’Operaio in rapporto alle forze materiali e spirituali: se la squadra è posta sul compasso, la materia domina lo spirito; se i due strumenti si intersecano, le due forze si equilibrano; se il compasso è posto sulla squadra, questo è segno di un dominio spirituale; se infine l’apertura del compasso coincide con quella della squadra, si è realizzata l’armonizzazione suprema dei due piani, materiale e spirituale (Boucher Jules, La simbologia massonica, Roma,).
Si è fatto così del compasso, nell’iconografia tradizionale, un simbolo della prudenza, della giustizia, della temperanza, della sincerità, tutte virtù fondate sul senso della misura. Esso è diventato anche l’emblema della geometria, dell’astronomia (e della Musa Urania che la personifica), dell’architettura e della geografia, sempre perché esso è lo strumento della misura e, particolarmente, dei rapporti. Poiché Saturno, originariamente divinità agraria, contava fra i suoi attributi la misurazione delle terre, il compasso è anche attributo di Saturno, e poiché Saturno è anche il dio del tempo – zoppicante, triste e taciturno, un meditativo «alla ricerca dell’incognito, alla ricerca della pietra filosofale e dell’estrazione della quintessenza», il compasso è diventato simbolo della malinconia (Tervaren Guy de, Attributs et symboles dans l’art profane, Ginevra 1959, Pag.109-112).
Le tre divinità
Nel Tempio sono presenti anche le immagini di tre divinità: Minerva, Ercole, Venere.
Minerva
Minerva era la dea della saggezza e della conoscenza. Nata dalla testa di Giove da cui esce già adulta e con tanto di armatura, aveva come simbolo l’ulivo il cui olio nell’antichità era usato per alimentare le lampade per illuminare. Dal simbolo della luce fisica a quello della luce interiore il passo è breve. Aveva anche come simbolo la civetta animale che vede nell’oscurità, simbolo della luce che emerge dalle tenebre del caos, ed inoltre era rappresentata dal pavone, la cui coda sembra composta da migliaia di occhi simbolo della conoscenza che vede ogni cosa. Essa rappresenta la saggezza che guida il venerabile nel suo compito.
Ercole
È il simbolo della forza e della determinazione, perché la saggezza necessita della forza e della stabilità per essere applicata. La ricerca spirituale non è percorso per deboli, ne per i pigri.
Venere/Afrodite
Venere è il simbolo della bellezza che ispira la loggia, ma è sempre associata al suo doppio, ovvero Afrodite.
È la dea della bellezza, il cui culto di origine asiatica è celebrato in molti santuari della Grecia, soprattutto a Citera.
Figlia del seme di Urano (il Cielo) sparso sul mare dopo la castrazione del Cielo da parte di suo figlio Crono (da cui nasce la leggenda di Afrodite nata dalla spuma dei mare), sposa di Efesto lo zoppo che essa ridicolizza in molte occasioni, rappresenta le forze irrefrenabili della fecondità non nei loro frutti ma nel desiderio appassionato che esse accendono nei viventi.
Spesso è rappresentata tra le fiere che la scortano come nell’inno omerico in cui l’autore evoca innanzitutto il suo potere sugli dei, poi sugli animali: «Ella fa smarrire la ragione anche a Zeus che ama il fulmine, lui, il più grande degli dei … ; anche questo spirito saggio lo corrompe quando vuole… Raggiunse l’Ida dalle mille sorgenti, la montagna madre delle fiere; dietro di lei venivano adulandola i lupi grigi, i fulvi leoni, gli orsi e la rapida pantera, insaziabile di cerbiatti.
Alla loro vista, essa si allietava di tutto cuore e gettava il desiderio nei loro petti; allora insieme essi correvano ad accoppiarsi nell’ombra delle valli» (Inni omerici, 36, 38, 68-74). E’ l’amore nella sua forma unicamente fisica, il desiderio ed il piacere dei sensi: ma non ancora amore specificamente umano. Sul piano più elevato dello psichismo umano, in cui l’amore è completato dal legame delle anime, il cui simbolo è Era sposa di Zeus, il simbolo di Afrodite esprime la perversione sessuale, perché l’atto sessuale può essere cercato solo in funzione del piacere che la natura vi collega. Il bisogno naturale allora si esercita perversamente (Diel Paul, Le symbolisme dans la la Mythologie grecque, Paris 1966, pag.166). Ci si può però chiedere se l’interpretazione di questo simbolo non si evolverà in seguito alle più moderne ricerche sui valori propriamente umani della sessualità. Anche negli ambienti religiosi più severi, si sta studiando se l’unico scopo della sessualità sia la fecondità, se non sia possibile umanizzare l’atto sessuale indipendentemente dalla procreazione. Il mito di Afrodite potrebbe restare ancora immagine della perversione, perversione delle forze vitali e della gioia di vivere, non più perché la volontà di trasmettere la vita sarebbe assente dall’atto d’amore ma perché l’amore stesso non sarebbe, in esso, umanizzato. Resterebbe a livello animale, degno delle fiere che compongono il corteo che segue la dea. Alla fine di questa evoluzione, però, Afrodite potrebbe apparire come la dea che sublima l’amore selvaggio, integrandolo in una vita veramente umana.
Le Tre Melograne
Vediamo ora gli altri elementi simbolici del Tempio. Sulla colonna di sinistra contraddistinta dalla lettera B sono presenti tre melagrane.
La melagrana è un simbolo di fecondità, di discendenza numerosa: nell’antica Grecia è un attributo di Era e di Afrodite e, a Roma, l’acconciatura delle spose era fatta di rami di melograno. In Asia, la melagrana aperta è un segno di buon augurio.
La mistica cristiana traspone il simbolismo della fecondità sul piano spirituale e per questo san Giovanni della Croce considera i semi di melagrana simbolo delle perfezioni divine nei loro innumerevoli effetti; a cui aggiunge la rotondità del frutto – espressione dell’eternità divina – e la soavità del succo – il godimento dell’anima che ama e conosce. La melagrana rappresenta infine «i più alti misteri divini, i giudizi più profondi e le più sublimi grandezze» (Cantico dell’anima). I Padri della Chiesa hanno visto nella melagrana un simbolo della Chiesa stessa: «Come la melagrana contiene sotto un’unica scorza un gran numero di semi, cosi la Chiesa unisce in una sola fede popoli diversi» (de Tervaren Guy, Attributs et symboles dans l’art profane, Ginevra 1959, pag.204).
Il seme di melagrana avrebbe avuto, nell’antica Grecia, un significato legato alla colpa. Persefone racconta alla madre, come essa fu sedotta suo malgrado: «egli mi ha messo di nascosto in mano un cibo dolce – un seme di melagrana – e mio malgrado, mi ha costretta a mangiarlo» (Inno omerico a Demetra). Il seme di melagrana consacrato agli inferi è un simbolo delle dolcezze malefiche: per averlo mangiato, Persefone passerà un terzo dell’anno «nell’oscurità brumosa e gli altri due presso gli Immortali». Nel contesto del mito, il seme di melagrana potrebbe significare che Persefone ha ceduto alla seduzione e meritato così la punizione. D’altra parte, assaggiando il seme di melagrana, essa aveva rotto il digiuno che era la legge degli Inferi: chiunque prendesse del cibo non poteva ritornare tra i vivi. Solo grazie a uno speciale intervento di Zeus, Persefone divise la sua esistenza fra i due mondi.
I sacerdoti di Demetra a Eleusi, gli ierofanti, «erano incoronati di rami di melagrano durante i Grandi Misteri», la melagrana stessa, frutto sacro che aveva fatto perdere Persefone, era rigorosamente proibita agli iniziati perché, «simbolo di fecondità, ha il potere di far scendere le anime nella carne» (Servier J. Le portes de l’année Parigi 1962, pag.119, 144). Il seme di melagrana mangiato dalla figlia di Demetra l’aveva votata agli Inferi e, attraverso una contraddizione del simbolo, condannata alla sterilità; la legge permanente degli Inferi prevaleva sull’effimero piacere di aver assaggiato la melagrana.
I tre viaggi e il labirinto
Un’altra caratteristica che contraddistingue il grado di apprendista è il labirinto. Esso è essenzialmente un intersecarsi di vie, alcune senza uscita in cui fondamentale è scoprire quella che conduce al centro. Allegoria del cammino iniziatico e dei suoi pericoli, esso era tracciato sul pavimento delle cattedrali gotiche anche se in seguito, perdendosene il significato, lo si è usato anche nelle chiese più tarde. Il labirinto è una catena esoterica, fatta d’incisioni, bassorilievi, sculture, che agli occhi profani sono semplicemente ornamenti. Tutto ciò costituiva una sorta di mappa del tesoro, le cui regole somigliano un poco a quelle del popolare gioco dell’oca dove i «giocatori» camminavano seguendo una spirale tracciata nei secoli, quasi una Via Lattea, dove ogni casella in più da percorrere, è una prova da superare prima di arrivare al Centro dove dimora l’Essere Eterno. Contemporaneamente il massone medievale percorreva un percorso simile, ma questa volta sul territorio. Un percorso che si dipanava sulla carta geografica nelle località dove era situata una cattedrale e, di cattedrale in cattedrale, imparava sempre nuovi segreti ma sempre con la doppia valenza costruttiva e mistica. Non a caso, ad esempio, se noi segnamo su di una cartina i punti dove sono collocate le cattedrali gotiche, abbiamo il disegno della costellazione della Vergine e non è un caso che tutte le cattedrali di quel periodo, si chiamino Notre Dame (Nostra Signora). Il percorso in loggia, sia quello che si fa abitualmente durante le tornate, sia e specialmente quello che si fa durante l’iniziazione è il percorso di un labirinto. Innanzi tutto il candidato compie tre giri all’interno della loggia, ripassando tre volte per gli stessi passi. Il candidato è bendato, per simboleggiare sia l’oscurità materiale sia spirituale, perché egli in questo momento è come se si trovasse negli inferi o nell’interno della Grande Piramide, quella di Cheope. Egli non vede nulla ma può udire, avanza a tastoni incespicando, ma sorretto dalla sua guida. Il candidato parte da occidente che rappresenta la realtà materiale la sicurezza quotidiana delle cose consuete, e si avventura nelle tenebre, come nella foresta oscura di Dante e Virgilio, alla ricerca del ramoscello d’oro, corrispondente al ramo di acacia massonico che gli permetterà, come a Ulisse, di entrare negli inferi viaggiando verso nord. Il viaggio si concluderà alla fine del labirinto, a oriente al sorgere del sole della luce iniziatica, davanti al Volume della Legge Sacra.
Dalla confusione e dallo zig-zag del primo viaggio si passa alla tranquillità del terzo. In ogni percorso viene sperimentato un elemento diverso. L’elemento terra lo ha sperimentato nel gabinetto di riflessione. Nei suoi giri sperimenterà l’elemento acqua, l’elemento aria ed infine l’elemento fuoco.
Il pavimento a scacchi
Il pavimento a scacchi del Tempio é un simbolo molto complesso e si presta a numerose allegorie ed é fondamentale che lo si consideri prima di ogni altra cosa. Nei nostri lavori ci muoviamo su di esso, così come all’esterno ci muoviamo sulla scacchiera della vita. Esso crea un luogo peculiare, al di fuori del tempo dove i nostri simboli prendono vita, quasi che sia un cerchio magico. Proprio come quello dato dalla dalla magia cerimoniale. Sostanzialmente rappresenta -prima di ogni cosa- il dualismo che é la palestra della nostra esistenza. Quando l’universo è emerso dalla non esistenza. Quando dall’”Uno” è nato il “duplice”, il molteplice, gli opposti, la luce e l’ombra. In quel momento è iniziato il nostro cammino lungo il sentiero che ci riporta all’origine. Il nostro cammino, la nostra ascesi, ci portano verso l’unione degli opposti per ottenere la reintegrazione nell’unità primigenia. In loggia impariamo a considerare il pavimento come la sintesi dell’esistenza umana con le sue gioie e i suoi dolori, le sue luci e le sue ombre. Delle luci dovremmo conoscere abbastanza ma credo che sia utile parlare delle ombre per inquadrarle nella loro vera natura. La vita umana è un groviglio di gioia e di dolore, di salute e di malattia, di entusiasmi e di scoraggiamenti, di slanci spirituali e di immersioni nella materialità, per questo parliamo di luce e di ombra. Questo deve essere tenuto ben presente dentro di noi. Per poggiare saldamente i piedi, sul sentiero della autorealizzazione, dobbiamo acquisire la capacità di accettare ciò che ci arriva, con serenità, distacco e saggezza. Questo è il significato del pavimento a scacchi.
La vita ha un lato luminoso ed un lato oscuro, perché questo mondo di relatività, è composto di luce ed ombra. Guarda solo il buono in ogni cosa, affinché tu possa assorbire le qualità della bellezza.