William Shakespeare
SHAKESPEARE
Sonetto n° CXLVI
povera anima, nocciolo della mia creta peccatrice, quali potenze ribelli ti rivestono?
Perché languisci dentro, dipingendo le tue esteriori apparenze con si allegri e preziosi colori?
Perché, se il tempo dell’affitto è cosi breve, sopporti tanta spesa per la tua
effimera abitazione?
È forse questa la fine del tuo corpo?
O anima mia, vivi dunque di quanto perde il tuo servo e lascia che questi deperisca per aumentare i tuoi tesori;
compra una scadenza divina vendendo ore di vana polvere;
nutriti interiormente e smetti lo sfarzo esteriore.
Cosi ti nutrirai della Morte che si ciba d’uomini, e una volta morta la Morte, non ci sarà più il morire.William Shakespeare
Questo é il classico sonetto rosacrociano, con la sua tipica contrapposizione corpo-anima.
Non è soltanto l’affermare: “trascura l’apparenza a vantaggio della sostanza” è molto di più. Numerose sono infatti le corrispondenze con il terzo grado della Massoneria Emulation: La prova della morte vissuta con consapevolezza per ottenere la rigenerazione iniziatica, e quella che viene definita alchimisticamente la “piccola morte” dove , ed é una esperienza
quotidiana, si sperimenta lo stato di animazione sospesa, realizzando quello che diceva persino San Paolo: “Io muoio ogni giorno; si per la gloria di nostro signore) [Ai Corinzi XV,31].
A nota del discorso ricordiamo che da sempre gli studiosi di cose esoteriche hanno identificato Shakespeare con Francis Bacon. Il commediografo non era un personaggio storico, ma uno pseudonimo, di cui non si sa praticamente nulla. Il secondo invece era uno dei principali rappresentante del movimento Rosacroce, oltre che un ministro inglese.
William Blake
il volto
E il Volto Divino emanò la sua luce
Sulle nostre colline annuvolate?
Fu costruita qui Gerusalemme,
Fra queste oscure macine di Satana?
Portate il mio Arco, che è d’oro bruciante
Portatemi le Frecce del mio desiderio:
Portate la mia Lancia: O nuvole, schiudetevi!
Portate il mio Carro di fuoco.
La mia Battaglia Mentale non avrà mai fine,
Né la mia Spada mi dormirà nella mano.
Questa poesia apparentemente innocua è invece di ampio respiro perché dobbiamo considerare che sia la mistica ebraica che quella sufi che quella egizia erano legate alla contemplazione del Trono di Dio, in seguito lo sarà anche quella islamica.
William Blake
Il mistico in uno stato di coscienza superiore dopo lunga pratica ascetica e dopo vari
gradi successivi supera i veli della conoscenza dei cieli inferiori e giunge davanti alla figura di Metatron, il “Cherubino eccelso”colui che sta accanto al Trono. Metatron è il Principe del Volto Divino egli proviene dal “Grande Fuoco” che consuma il fuoco stesso.
Esso è l’Intermediario tra la Causa delle Cause e i mondi in divenire, è l’intermediario della creazione. Davanti al volto divino c’è un velo a forma di tenda, nessun essere può sopportare la vista del volto divino. Forse neanche lo stesso Metatron. Tale Velo sta dinanzi al Trono e separa la Gloria di Dio dalle schiere angeliche. Il velo cosmico retto da Metatron contiene le immagini di tutte le cose che esse hanno nel mondo celeste dal giorni della Creazione. Tutto ciò che esiste, è esistito o esisterà, è intessuto con immagini nel Velo: chi lo guarda, penetra al tempo stesso nel corso della storia e nell’eterna essenza prima del tempo. La tradizione del volto viene ripresa da Jakob Bomhe il famoso mistico rosacrociano del ’600.
Nei suoi scritti ha spesso delineato l’immagine di Metatron. Ed ha ripetutamente descritto nei suoi libri il velo con “l’impronta delle cose”.
La prosa ermetica non nasconde il rapito stupore che lo ha colto di fronte alla visione animica dello schermo da cui origina la creazione sia materiale che spirituale perché anche il mondo dello spirito esiste per emanazione continua della volontà dell’altissimo, le varie emanazioni sono poi gli artefici delle azioni ai livelli inferiori le forze che muovono il creato.
Attraverso i rosacroce la descrizione del Trono del cherubino e delle immagini del velo cosmico probabilmente approdano in Massoneria.
ʿUmar Khayyām
XXXI Quartina
al centro della terra m’innalzai fino alla settima porta,
e mi sedetti sul trono di Saturno,
Lungo la strada sciolsi molti nodi,
Ma non il nodo della morte e del destino.
L’autore di questi versi é Omar Khayyàm uno dei personaggi più eminenti della tradizione Sufi vissuto in Persia e morto intorno al 1122, fu matematico e astronomo oltre che poeta. la traduzione dal persiano che abbiamo utilizzato é quella di Edward FitzGerald nella sua prima stesura, che comprendeva solo 75 quartine.
L’autore in questa quartina traccia una sorta di analogia tra il microcosmo e il macrocosmo, infatti se andiamo a consultare sia i trattati di Yoga che quelli sufi, oltre che di altre tradizioni, leggiamo che la spina dorsale, o per meglio dire il suo doppio astrale é considerato l’asse del mondo. In questo asse vi sono sette stazioni, sette centri, ed il plesso coccigeo é il centro spirituale più basso.
'Umar KhayyāmEsso viene assimilato alla Terra, ed é la prima porta che la coscienza interiorizzata si trova ad attraversare per salire e raggiungere la coscienza cosmica che si localizza in una particolare regione del cervello, sede e trono di Saturno. Il trono sta ad indicare la dimora della coscienza e della vita dell’essere oltre che simbolo di conoscenza e di saggezza. Gli altri centri sono il centro sacrale, il plesso solare poco sotto l’ombelico, il centro del cuore, e il centro tiroideo. Ognuno di questi corrisponde ad un pianeta.
Nella filosofia pitagorea così come in quella mitriaca si insiste molto sul parallelismo tra le iniziazioni e il ciclo del cosidetto “Grande Anno”. Anche qui troviamo sette stazioni, sette chiese sette prove.
Cosa vuol dire tutto ciò?
Vuol dire che l’essere umano durante la vita, in seguito a successive iniziazioni acquisisce diversi livelli di conoscenza, sette appunto, indicati ciascuno con il nome di un pianeta e della divinità corrispondente, e la più elevata é Saturno. Man mano che procede nelle iniziazioni gli vengono rivelati segreti e conoscenze riservati a pochi. Dopo la morte l’anima sale stabilmente, a seconda del livello raggiunto nella vita, nella sfera del pianeta corrispondente, per poi rinascere dopo un certo tempo nuovamente sulla terra. Tutto questo si ripeterà fino al giorno in cui non desidererà più la vita materiale e non avrà espiato le proprie colpe, solo allora potrà uscire dal cosmo per ricongiungersi con l’assoluto.
L’iniziazione permette di accelerare questo processo. Il poeta in questa quartina lamenta di aver quasi raggiunto il massimo livello evolutivo ma di non essersi ancora liberato del fardello del Karma o destino e quindi di essere ancora schiavo del mistero della morte.
XI Quartina
Un pane, una fonte,
un ombra e gli occhi tuoi,
non v’è sultano di me più felice,
ne mendico che sia di me più triste.
Il poeta scrive questa quartina con un duplice significato, uno strettamente mistico operativo, perché nel deserto del più profondo silenzio interiore in cui è scomparsa la folla tumultuosa dei desideri e si é scelta la semplicita della vita, rinunciando alla mondanità; in cui si comunica con l’amato supremo. Quando come dice Meister Eckhart l’occhio con cui vediamo Dio é lo stesso con cui Lui vede noi, nel massimo dell’esaltazione mistica comunque rimane un fondo di incompletezza per la mancanza della completa reintegrazione.
Il secondo significato è che nella natura umana é insito un effetto particolare che anche nella profonda gioia esiste una parte di mestizia e nella tristezza esiste una parte di letizia, la reintegrazione dell’uomo totale passa per la reintegrazione dei due opposti.
Poi comunque é una bellissima poesia per una bellissima donna.
Kumaran Asan
Kumar Asan
orolla recisa! Tu t’aprirai di nuovo
sul ramo del Kalpaka,
come la stella che tramonta a occidente
si leva la notte dopo a oriente.
[Asan]
Rudyard Kipling
C’erano Rundle, il capo stazione, e Beazeley, delle Ferrovie, e Ackman dell’Intendenza, e Donkin delle Prigioni, e Blake il sergente istruttore, per due volte fu il nostro Venerabile con quello che aveva il negozio «Europa», il vecchio Framjee Eduljee.
Fuori – «Sergente, Signore, Saluto, Salaam» dentro, «Fratello», e non c’era nulla di male.
Ci incontravamo sulla Livella e ci separavamo sulla Squadra, Ed io ero Secondo Diacono nella mia Loggia Madre laggiù!
Avevamo Bola Nath il contabile E Saul, l’israelita di Aden, E Din Mohammed disegnatore al Catasto, C’erano Babu Chuckerbutty, E Amir Singh, il Sikh, E Castro delle officine di riparazione, Il Cattolico Romano!
Non avevamo belle insegne, E il nostro Tempio era vecchio e spoglio, Ma conoscevamo gli antichi Landmarks, E li osservavamo per filo e per segno. E guardando tutto ciò all’indietro, Mi colpisce questo fatto, Che non esiste qualcosa come un infedele, Eccetto, forse, noi stessi.
Rudyard Kipling
Poiché ogni mese, finiti i Lavori, Ci sedevamo tutti e fumavamo, (Non osavamo fare banchetti Per non violare la casta di un Fratello), E si parlava, uno dopo l’altro, Di Religione e di altre cose, Ognuno rifacendosi al Dio che meglio conosceva.
L’uno dopo l’altro si parlava, E non un solo Fratello si agitava, Fino a che il mattino svegliava i pappagalli, E quell’altro uccello vaneggiante; Si diceva che ciò era curioso, e si rincasava per dormire, con Maometto, Dio e Shiva Che facevano il cambio della guardia nelle nostre teste.
Sovente, al servizio del Governo, questi passi erranti hanno visitato E recato saluti fraterni A Logge d’oriente e d’occidente, Secondo l’ordine ricevuto, Da Kohat a Singapore, Ma come vorrei rivedere Ancora una volta quelli della mia Loggia Madre!
Vorrei potere rivederli, I miei Fratelli neri e scuri, Tra l’odore piacevole dei sigari di là, Mentre ci si passa l’appiccicafuoco; E con il vecchio Khansamah che russa Sul pavimento della dispensa, Ah! essere Maestro Massone di buona fama Nella mia Loggia
Madre, ancora una volta! Fuori – «Sergente, Signore, Saluto, Salaam» Dentro, «Fratello», e non c’era nulla di male. Ci incontravamo sulla Livella e ci separavamo sulla Squadra, Ed io ero Secondo Diacono nella mia Loggia Madre laggiù!
Eagles
Il testo di questa canzone da sempre molto ermetica ha sempre lasciato perplessi gli ascoltatori ma se la ascoltiamo attentamente noteremo una simbologia molto simile a quella delle cerimonie massoniche.
Diamo dunque una traduzione del testo e vi invitiamo a scoprire le corrispondenze.
Gli Eagles
Hotel California
Ero su di una strada buia e deserta, col vento freddo tra i capelli e nell’aria il caldo
odore delle erbe selvatiche.
In lontananza scorgo una luce scintillante. La mia testa s’era fatta pesante e la
mia vista sempre più fioca. Mi dovevo fermare per la notte.
Qualcuno stava sulla soglia, lo sentii bussare e pensai tra me e me: ”Questo
potrebbe essere il paradiso ma potrebbe anche essere l’inferno”
Poi accesero una candela e mi mostrarono la strada. C’erano voci nel corridoio,
che dicevano Benvenuto all’Hotel California è un bel posto, C’è sempre posto
all’Hotel California in qualsiasi stagione.
La mente era piena di vortici di gioielli e curve meccaniche. Molti amici danzano
nel cortile, nella dolce calura estiva.
Alcuni ballano per ricordare, altri ballano per dimenticare.
Così chiamai il capitano, Per favore, mi porti la mia bevanda, Lui disse: Non ne
abbiamo più, questa verrà sostituita.
Ed ancora quelle voci chiamavano in lontananza. Ti svegliavi nel mezzo della
notte, per sentirle dire: ”Benvenuto all’Hotel California Un posto bellissimo”
Si godono la vita all’Hotel California, i tuoi alibi procurano sempre una bella
sorpresa. Specchi sul soffitto, champagne rosa con ghiaccio
Mi dissero: “Qui noi siamo tutti prigionieri, di nostra volontà.”
Quella notte Nella camera del maestro, si sono radunati per la cerimonia, L’hanno
pugnalato con i loro coltelli d’acciaio, ma non sono riusciti ad ucciderne l’essenza.
L’ultima cosa che ricordo, è che stavo cercando l’uscita. Dovevo trovare un
passaggio per tornare dov’ero prima.
Rilassati, disse il guardiano, qui siamo preparati per accogliere. Puoi lasciare la
stanza in ogni momento, ma ricorda, non potrai mai andartene completamente.